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Treviso, anziano sfrattato durante il ricovero: «Non so dove vivrò una volta dimesso»

Il caso a Treviso, l’inquilino è in attesa di un delicato intervento all’aorta: «Non riesco a pagare l’affitto all’Ater, mi hanno già cambiato la serratura»

Lorenza Raffaello
Aggiornato alle 2 minuti di lettura

Il villaggio Gescal di Fiera, dove abitava il protagonista della storia prima del ricovero in ospedale e dello sfratto

 

«Sono disperato. Sono ricoverato in ospedale in attesa di un intervento all’aorta e quando uscirò da qui non avrò una casa dove andare: sono stato sfrattato, sono solo, non so dove andrò e cosa mi succederà». Francesco Limuti ha 78 anni, parla tra le lacrime dal suo letto d’ospedale nel reparto di chirurgia vascolare del Ca’ Foncello.

È ricoverato dal 20 marzo per problemi cardiaci e il 13 aprile scorso un ufficiale giudiziario si è recato in ospedale per dirgli che è stata cambiata la serratura della porta di ingresso della sua case e per notificargli lo sfratto, programmato per giovedì 8 giugno, attualmente prorogato per concessione dell’Ater.

La storia

Francesco era residente in una delle case di proprietà dell’Azienda territoriale di edilizia residenziale, in Piazza dei donatori di Sangue nel quartiere di Fiera.

Si era trasferito in quello stabile nel 2007, dopo che i servizi sociali avevano preso in carico la sua situazione: separato, solo, pensionato con un assegno mensile minimo di 630 euro. Il canone d’affitto era di 70 euro al mese, rimasto tale fino al primo aprile 2022 quando l’affitto è passato a 430 euro (canone sanzionatorio in seguito a un avviso di decadenza).

«Non posso pagare»

«Pensavo fosse un pesce d’aprile. Ero impossibilitato a pagare una cifra del genere, con la pensione minima che ho – racconta Limuti – Mi sono recato negli uffici dell’Ater con l’Isee per dimostrare la mia posizione e da allora non ho più pagato. Ho dovuto scegliere cosa pagare e ho optato per le bollette di luce e gas e per la spesa. Altro non potevo permettermi, sicuramente non un affitto così alto».

Passa il tempo e Francesco si ammala, soffre di problemi cardiaci e viene ricoverato al Ca’ Foncello, mentre si trova in ospedale, lo scorso aprile, riceve la telefonata dall’ufficio sfratti dell’Ater con cui gli viene comunicato che era stata cambiata la serratura di casa e che l’8 giugno avrebbero proceduto con lo sgombero dell’abitazione, a cui seguirà la visita dell’ufficiale giudiziario.

«Quando si è presentato l’ufficiale mi è crollato il mondo addosso, ho provato a chiamare gli uffici Ater, ma non hanno voluto parlare con me, mi hanno solo detto di recarmi da un avvocato convenzionato. A giorni mi opereranno all’aorta e dopo la convalescenza dove andrò? Non so cosa fare e a chi chiedere aiuto».

La proroga

Giovedì mattina, il giorno ufficializzato per lo sgombero dell’appartamento, l’assistente sociale ha chiamato il pensionato informandolo di aver ottenuto una proroga allo sfratto, in modo che possa occuparsi lui del trasloco, una volta dimesso.

«Al momento non ho idea di dove porterò i miei mobili, non ho un magazzino, né un posto dove poter andare. In vista dell’intervento dei prossimi giorni mi sono imposto di stare tranquillo, me lo ha suggerito anche il chirurgo».

Francesco nel suo racconto alterna momenti di razionalità ad altri di scoramento. Eppure Limuti non ha sempre vissuto da indigente, anzi. Originario di Caltanissetta si è trasferito a Treviso nel 1967 dopo tre anni da sottoufficiale a Portogruaro. Nella Marca ha conosciuto l’amore e ha cominciato a lavorare come assicuratore, ha vissuto una vita agiata, con qualche evento fortunato, tale da permettergli anche alcuni lussi, ed è diventato papà di tre bambini che decise di seguire personalmente, dedicandosi a loro e lasciando il lavoro.

«Non ci mancava nulla»

«Vivevamo in centro storico, eravamo una famiglia felice e non ci mancava nulla. Ma poi le cose sono cambiate. Ho perso tutto e a 57 anni mi sono trovato solo e senza lavoro e da lì è cominciata la mia sventura. Non riuscivo a trovare lavoro e mi sono rivolto agli assistenti sociali che hanno preso in carico la mia situazione, dopo mesi passati in albergo a mie spese, mi hanno trovato l’appartamento di piazza Donatori di sangue, lì sono tornato a vivere con dignità. Perdere quel posto è molto doloroso, ma non sapere dove andare quando uscirò di qui lo è ancora di più».

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