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Donna di Oderzo morta dopo il parto, per il pm «caso chiuso»

Francesca Schirinzi aveva 34 anni: la famiglia chiede per la seconda volta di non archiviare l’inchiesta contro i medici

Marco Filippi
1 minuto di lettura

Nel marzo di quattro anni fa, Francesca Schirinzi, 34 anni, morì poco dopo aver partorito il figlio, senza avere avuto il tempo di dargli una carezza. Subito dopo il parto all’ospedale di Oderzo un’emorragia massiva ne causò tre arresti cardiaci, l’ultimo dei quali le fu fatale.

Dopo una prima richiesta di archiviazione del caso da parte della procura, che inizialmente mise sotto inchiesta un’equipe medica dell’ospedale (alla quale seguì l’ordine di effettuare nuove indagini da parte del gip Piera De Stefani), ecco ora una nuova richiesta di chiudere il caso da parte del pm, che non ravvisa responsabilità di terzi. Ma la famiglia di Francesca Schirinzi, che parallelamente sta portando avanti davanti al giudice Andrea Valerio Cambi attraverso l’avvocato Cosimo Miccoli una causa civile, è pronta ad opporsi di nuovo.

Il caso fece il giro d’Italia e destò parecchio clamore. Francesca, originaria del paesino salentino di Castrignano del Capo, viveva col marito Antonio Giordano, militare del Cimic mottense, ad Annone Veneto insieme alla loro primogenita di 4 anni.

All’alba del 13 marzo 2019 la tragedia improvvisa: subito dopo il parto all’ospedale di Oderzo una emorragia massiva aveva causato tre arresti cardiaci, l’ultimo dei quali le era stato fatale.

«Francesca quel giorno è arrivata in ospedale in condizioni fortemente compromesse. Chiunque» disse all’epoca della prima richiesta di archiviazione l’avvocato Cosimo Miccoli che rappresenta il marito «avrebbe immediatamente provveduto ad un parto cesareo e tutto, probabilmente, sarebbe andato come doveva. Invece i medici hanno continuato a somministrare dell’ossitocina a Francesca per farla partorire naturalmente. La donna ha avuto tre arresti cardiaci, uno dietro l’altro, poi è morta in sala operatoria dopo aver dato alla luce il figlio che ora è un bel bambino».

Il pm inquirente al termine delle varie perizie e consulenze seguite all’autopsia aveva chiesto una prima archiviazione della vicenda. Ma il giudice delle indagini preliminari Piera De Stefani respinse la richiesta di archiviazione accogliendo la richiesta dell’avvocato Miccoli di nuovi approfondimenti, concedendo altri sei mesi di indagini.

«Dopo l’autopsia» scrisse «permane l’incertezza sulle cause della morte attribuita per via deduttiva logica dai consulenti del pm e della difesa ad un’embolia amniotica, dai consulenti delle parti civili invece ad un arresto cardiaco indotto da una non corretta ed eccessiva somministrazione di ossitocina durante il parto».

Ora, sulla base di una nuova consulenza, che esclude l’embolia amniotica come causa della morte, la procura chiede una nuova archiviazione. Ma la famiglia è pronta ad opporsi di nuovo.

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