I patron dell’Imoco: «Difenderemo il Mondiale per Club. Santarelli? Resterà con noi per sempre»
Maschio e Polo a ruota libera: «Proveremo a vincere per altri 20 anni. Comprare il Palaverde? Magari un giorno...»
Massimo Guerretta
C’è già un problema per l’Imoco: la bacheca è diventata inesorabilmente troppo piccola. Nella sede del Gruppo Milleuno, società di Maurizio Maschio ed Enrico Polo - i patron della squadra campione d’Italia e del mondo - le coppe ormai non ci stanno più.
D’altronde vincerne 20 in poco più di dieci anni non era pronosticabile: ora toccherà al falegname rimediare in qualche modo...
Maschio e Polo hanno analizzato l’annata appena conclusa in modo trionfale, mettendo in moto una conversazione con due amici prima che due soci, tanto che le parole di uno sono sostanzialmente le stesse dell’altro. «È un sogno che dura da 10-11 anni», rivelano, «abbiamo investito ma abbiamo anche ricevuto tanto: riconoscenza, amore, tifo. L’impegno economico aumenta, ma vincere ci piace troppo. Questo scudetto è stato molto sofferto. Però forse per questo anche il più bello. Certo, bellissimo vincere 3-2, ma meglio vincere 3-0...».
Cannibali
Il sogno di Maschio è andare ben oltre Bergamo: «Lo spirito è di raggiungere i risultati sempre maggiori. Come la Foppapedretti, o di più. È un modo di operare che ci portiamo dal nostro essere imprenditori. Credo che siamo entrambi consapevoli che nella nostra storia abbiamo avuto delle soddisfazioni importanti dal punto di vista del lavoro, siamo anche stati fortunati e vogliamo comunque condividere con il territorio nostri successi lavorativi e sportivi. Ci sono 250 sponsor che ci sostengono e non vedono l’ora di mandarmi un messaggino per festeggiare...».
La costruzione di un team
Polo rende i meriti: «La squadra, inutile nascondercelo, è plasmata da Pietro Maschio. Ha una capacità di visione che io ritengo straordinaria. Le conosce tutte, anche chi gioca nei college degli Stati Uniti. È un esperto del mondo della pallavolo e riesce a vedere oltre le giocatrici emergenti, capire ciò che arriveranno a fare. Fa il mercato con la testa, poi crede nelle persone. Trasmette fiducia: qualche giorno fa gli esternavo la mia preoccupazione su Monza, che ci ha messo in difficoltà e l’anno prossimo avrà una marcia in più con Egonu. E Pietro con molta calma mi ha detto “sì, ci saranno più difficoltà, ma noi ci batteremo fino alla fine”. Sarà così sempre per noi, almeno per i prossimi 20 anni. Perché prima c’era Novara, ora c’è Monza, poi ci saranno Scandicci, che mi aspettavo in finale, o altre che - prima o dopo, ma spero mai - prenderanno qualche trofeo al posto nostro, ma noi ci saremo. Investiremo sempre. Questo territorio se lo merita».
L’anno zero
Ma - e prende la parola Maschio - non doveva essere l’anno zero, quello dell’inizio di un nuovo ciclo? «Invece abbiamo vinto quattro trofei. Io sono un po' meno generoso con mio figlio, però è chiaro che ha una visione molto importante e ha delle capacità riconosciute anche dagli altri club. L'impegno economico rispetto alle origini si è triplicato - con la squadra della finale del 2013 forse ora si sarebbe faticato a salvarsi, per dare un quadro di quanto il movimento sia in crescita - e noi l'abbiamo sempre seguito, ma devo dire anche con grandi sacrifici perché non dimentichiamoci che nell'anno del Covid e del post-Covid abbiamo veramente perso tantissimo dal punto di vista lavorativo. Ci siamo guardati e non siamo tirati indietro. Quelli sono stati due anni difficilissimi economicamente, e il pubblico ci mancava».
Un contratto a vita
Quando si tocca il tasto Santarelli si illuminano: «Il nostro allenatore? Anche di fronte alle vittorie, lui si sente sempre critico. Perché si può sempre far meglio, è nel nostro dna. Neanche lui sapeva di poter arrivare a questo livello. C’è orgoglio nell’averlo scelto, è stata una scelta indovinata, all'inizio nessuno poteva immaginare che ottenesse risultati del genere. E non solo con noi, anche con le nazionali che ha guidato. Però Daniele Santarelli è rimasto umile. È capace, è un grandissimo lavoratore e ha il carattere del vincente. Ha avuto la “fortuna” che Pietro abbia scommesso su di lui, questo è indiscutibile, però ha una professionalità e una capacità di molto discutere della media. Andrà alla nazionale italiana? Non dipende da noi. Per quanto ci riguarda però qui può restare per sempre, anche perché si è creato un affetto oltre che un rapporto di lavoro. Moki? Beh, lei è già eterna».
Cortegiatissime
Sono anni che le giocatrici continuano a ricevere offerte dalla Turchia, e a rifiutarle per rimanere qui (Wolosz si era già accordata a gennaio).
Che spiegazione date? «L’Imoco Village ha il suo peso. Noi siamo stati i primi ad aver creato una strutura così per questi livelli. Grande ambiente, ognuno ha la sua vita privata ma se vogliono possono trovarsi di continuo per cene, pranzi e divertimenti, e hanno il fisioterapista come vicino di casa...».
«E vivono il territorio, il Prosecco, sono a due passi dal lago, dalla montagna, dal mare... Difficile andarsene. Certo Istanbul è meravigliosa, ma molto diversa». Chi l’ha fatto è Paola Egonu. «Calma, Paola già il secondo anno aveva offerte milionarie, è rimasta con noi tre anni, scegliendo noi. Se Paola un giorno volesse tornare ci sarebbe disponibilità da parte nostra. Ora la squadra è strutturata in maniera diversa, siamo stati fortunati a sostituirla con Bella che è straordinaria. Altro caso, Robin De Kruijf: ha accettato un ruolo diverso, sapeva di giocare meno. E poteva andare in Turchia al doppio dello stipendio. Ma è rimasta qui. E noi non abbiamo mai preso nessuno per la giacchetta».
Il futuro del Palaverde
Il pubblico non manca. Non è che arriva anche il PalaImoco?
«Non ci aspettavamo di avere questi pienoni subito dopo il duro periodo della pandemia. Siamo a 4.500 spettatori di media, una serie di sold out con richieste ben maggiori, è un successo. E quando andiamo in trasferta siamo noi l’attrazione. L’idea di fare un palasport nostro? Mah, anche no, il Palaverde ci va ancora bene come capienza. Comprarlo? C’era l’ipotesi, vedremo, per ora no, dovessimo fare un investimento del genere... Credo che l’unica strada può essere quella. Però già adesso va modernizzato, si tratta di impegni economici importanti».
Da Federotseva ad Alexa
L’unico rimpianto dell’anno è la Champions League, e di quella Fedorovtseva diventata macchina da ace: «L'unica pecca», dice Polo, «ma abbiamo trovato un avversario di fronte che era arrivato nel momento top e una giocatrice che è esplosa, quindi ha già dato indicazioni per qualche futuro..».
«D’altro canto, anche noi in gara-5 abbiamo trovato l’asso. Alexa, che partita», fa Maschio, «ma Santarelli ce l'aveva in testa già da un paio di partite. E non è facile avere la fiducia di una giocatrice che sa già di andar via. Il coach le ha chiesto” se ho bisogno di te, ci sei?” e lei era pronta, per qualsiasi cosa. Santarelli l’ha tenuta pronta per il momento giusto, poi c'è anche fortuna, ok, ma anche per lei era l’occasione di vincere uno scudetto».
Un trono iridato da difendere
C’è poi l’inghippo del Mondiale. I detentori non vengono invitati di diritto.
«La wild card? Vorrà dire che, anche se sarà cara, la pagherò io», sorride Maschio, «ad Antalya sapevo che potevamo vincere. Vi dirò che ho preso il Covid la settimana del Mondiale, e dovevo partire con una squadra... Sono stravaccinato, eh, mi sono fatto 5/6 tamponi al giorno, appena ho visto che la lineetta mi dava negativizzato ho preso il primo aereo. Un altro aneddoto: primo Mondiale, contro il Vakifbank siamo sotto 14-11 al tiebreak, c’era mio figlio con le mani nei capelli, Piero Garbellotto pallido. Mi sono girato verso di loro: “adesso vinciamo”. Mi hanno guardato con aria sconcertata. È successo anche con la Coppa Italia vinta a Roma e la Champions a Verona».
Il dolore dei match
Enrico Polo è “costretto” a vincere: «Soffro le partite in modo proprio viscerale, quasi con dolore fisico. Se sono a casa e la partita non sta andando bene provo a cambiare canale per qualche secondo, quando vedo la squadra in difficoltà ci sto proprio male. Ci può stare anche la sconfitta, per carità, ma quando la squadra non è all’altezza delle proprie capacità ne soffro. Ma poi chiedo a mio figlio “Giulio, com’è il punteggio?” e a quel punto siamo di nuovo sopra… Poi alla fine della partita mi arriva il messaggino di Maurizio, ormai è una tradizione, da tanti anni».
Il business
E ora l’obiettivo, per il movimento, è sfruttare l’onda per aumentare i ricavi e così la sostenibilità, contando su diritti tv e marketing. «Abbiamo una chat nostra tra presidenti di società e ci confrontiamo su questi temi, per capire come comunicare e gestire l’esplosione del fenomeno volley femminile. È una crescita è continua e costante, è lo sport della donna, delle ragazze, delle bambine. Un ritorno? Trasformare questo bel giocattolo in business, è difficile, ma non è neanche quello che a cui puntiamo. Ma bisogna guardare al sistema, al prodotto volley femminile. Bisogna crescere per poter competere, soprattutto nei confronti delle squadre turche che hanno budget doppi».
Ripartire vincendo
Polo e Maschio chiudono con uno sguardo al futuro, e non si accontentano: «L'anno prossimo ripartiamo già con un gruppo collaudato. Qualche ragazza era emozionata per la finale scudetto, era la prima volta. Ora sul 23-24 sappiamo cosa fare, vincere aiuta a vincere. Accontentarsi delle finali? Macchè, lo diciamo solo per scaramanzia. Vincere è l’unica cosa che conta».
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