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Delitto Tassitani, Fusaro in permesso: «Per lui è stato un primo passo, pronto a incontrare il papà di Iole»

Parla don Marco Pozza, cappellano del carcere. La consigliera Rizzotto: «Ferita insanabile, scriverò a Nordio»

M.L.D.
Aggiornato alle 3 minuti di lettura

Don Marco Pozza e Michele Fusaro

 

Il giorno dopo la diffusione della notizia che Michele Fusaro ha avuto la sua prima possibilità di uscire dal carcere di Padova – dove sconta una pena di 30 anni per l’omicidio di Iole Tassitani avvenuto nel 2007 – il caso fa discutere. Tra le tante voci “indignate” per questa concessione a favore di Fusaro spicca quella di Silvia Rizzotto, consigliera regionale della lista “Zaia presidente”, ex sindaca di Altivole: «La ferita del barbaro omicidio di Iole Tassinari è una cicatrice profonda nella nostra comunità.

Per questo la notizia del permesso premio è inconcepibile. Chi ha ucciso e fatto a pezzi una donna innocente deve stare in galera. Scriverò al ministro Nordio per sottoporgli la vicenda ed evitare che Iole venga uccisa per una seconda volta. Il ministro deve sapere che quel macellaio non merita niente, men che meno un premio» .

Ma non tutti la pensano così. Don Marco Pozza, cappellano del carcere di Padova, prima di tutto esprime un “sì” senza riserve alla richiesta del padre di Iole di poterlo incontrare. «Lo considero un privilegio e un gesto di umanità altissimo. Il giorno del funerale della moglie ho partecipato al loro dolore con tutta la gente di Castelfranco.

In questi mesi ho pregato che si aprisse una fessura, che la verità sia possibile ricercarla in compagnia. Il signor Tassitani ha fatto molto di più.

A luci spente, senza riflettori o mediazioni, nutro il desiderio d’incontrarlo. Anche solo per tirar via il minimo dubbio che qui ci sia qualcuno che cerca di difendere la bestialità efferata compiuta da Michele. E per fare tutto quello che è nelle nostre possibilità. Assieme a Michele».

Don Marco è cosciente che il nome di Michele suscita ancora tanto dolore e rabbia. «Mi sono stupito più dell’intelligenza di molte persone che della scontatezza di altre reazioni», spiega il sacerdote.

«Intelligenza che non muta di un millimetro la gravità del gesto e il prezzo della responsabilità personale ma dice la voglia di capire il significato, le tappe e i traguardi di percorsi che sono la ragione di vita di una comunità come il carcere.

La stupidità mi scivola addosso. Resta il dolore della famiglia di Iole: questo, non la vendetta, resta lo scoglio più inviolabile che non mi permetterei mai di giudicare».

Ma come ha reagito Fusaro a questa situazione? «Come uno che, rientrato in cella dopo aver assaporato le prime ore della libertà, ha misurato il peso di ciò che ha barbaramente seminato», dice don Marco. «Nel suo sguardo c’è un miscuglio di spaesamento, trepidazione, angoscia per tutto il lavoro che, fuori, ha visto lo sta aspettando. Per me la sua vera galera è iniziata lunedì. Il carcere, da un certo punto di vista, protegge un po’ troppo: c’è una società che aspetta e non la si può scansare a lungo».

Molti, compreso l’avvocato della famiglia di Iole, non sanno spiegarsi le ragioni di questo permesso. «Non voglio perdere tempo per commentare ragionamenti a spanne in una materia delicata come il diritto penale», taglia corto don Mario.

«Ragionamenti che denotano una non conoscenza precisa. Del tipo: c’è differenza tra un permesso di necessità e un permesso premio. Il primo ha bisogno di una motivazione urgente, il secondo è una delle tappe dell’esecuzione della pena prevista dalla legge, e tutti coloro che sono nei termini possono presentarlo, anche senza l’aiuto dell’avvocato ma attraverso i canali istituzionali del carcere. Se qualcuno ha materia per dubitare della correttezza della magistratura di sorveglianza di Padova, non gli resta che procedere».

Resta la domanda su cosa abbia determinato per Michele la possibilità di ottenerlo.

«La condanna di una persona, quando viene resa definitiva, ha un suo svolgimento. C’è la fase iniziale della carcerazione: nuda e cruda. Poi, dopo aver espiato una percentuale di anni che varia a seconda della gravità del reato, inizia la seconda fase: quella del lento reinserimento nella società. La persona è ancora prigioniera, ma le si dà la possibilità di iniziare a ricostruire la sua storia fuori. Il primo “permesso premio” segna questo inizio: ne verranno altri, la cui durata dipende dalla discrezionalità del magistrato che valuta il da farsi. Segue poi la semilibertà, l’affidamento in prova, la libertà completa. È la legge».

La famiglia cerca risposte su presunti complici o mandanti di Fusaro, tanto più dopo un paio di lettere anonime ricevute anni fa. Cosa sa il sacerdote di questa faccenda? Crede di poter conoscere quella parte di verità che la famiglia cerca da anni? «Non posso rispondere», osserva don Mario, «ne andrebbe della mia coscienza di sacerdote.

Dico solo che, quando confesso in carcere, capisco la grazia di un segreto confessionale dentro il quale sono io il primo prigioniero. Posso solo aiutare la coscienza di Fusaro a diventare adulta per prendersi le sue responsabilità. Non è affatto semplice prendere sonno certe notti». 

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