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Ike, il nigeriano della TvB: «Ho imparato a giocare nel cortile con i fratelli»

Ventotto anni il prossimo 14 marzo, Ikenna Ugochukwu Iroegbu , sta vivendo la sua miglior stagione da giocatore professionista di pallacanestro proprio a Treviso

Ubaldo saini
3 minuti di lettura
“Ike” Iroegbu, grande protagonista fin qui della stagione di TvB (foto Editoriale Report) 

Compirà ventotto anni il prossimo 14 marzo: Ikenna Ugochukwu Iroegbu, per tutti “Ike”, sta vivendo la sua miglior stagione da giocatore professionista di pallacanestro proprio a Treviso, dove nelle 17 gare fin qui disputate ha messo assieme oltre 16 punti di media a partita con il 49% dal campo e l’82% a cronometro fermo, condito da tre rimbalzi e oltre due assist a gara. Iroegbu ha cittadinanza nigeriana, ed è nato a Elk Grove, nella contea di Sacramento, nell’ovest degli Stati Uniti. La sua storia comincia proprio da qui.

Sacramento è stato un ottimo posto dove crescere, assieme alla famiglia e in un ambiente tranquillo.

«Sì, sono stato davvero fortunato in questo. I miei genitori sono cresciuti in Nigeria, poi si sono trasferiti qui a metà degli anni Ottanta. Si sono sposati nel 1991, poi sono arrivati tre figli maschi in tre anni: 1993, 1995 e 1996. Io sono il secondogenito».

Come si è avvicinato al basket?

«In verità sono nato con il calcio, era uno sport che mi piaceva tantissimo. Giocavo come portiere perché in campo c’erano ragazzi molto più bravi di me. Poi ad un certo punto i miei genitori non riuscivano più a gestire tre maschi che praticavano sport differenti. Così decisero che avremmo giocato tutti a basket, e costruirono un canestro nel cortile di casa dove potevamo giocare tutti assieme, oltre agli allenamenti in palestra. In quel cortile ho imparato una grande lezione di vita».

Quale?

«Le nostre sfide erano all’ultimo sangue, ce le davamo di santa ragione e nessuno voleva perdere. Eravamo davvero molto competitivi, cercavamo di inventare modi sempre nuovi per vincere. Però finite le nostre partite tutto tornava come prima, abbiamo imparato a lasciare la tensione sul parquet, senza mai metterla sul personale. Questo insegnamento mi è sempre stato utile anche da grande».

Tra l’altro lei è nato come giocatore mancino.

«È vero, da piccolo facevo tante cose con la sinistra, poi i miei genitori hanno pensato di correggermi perché tante cose si fanno con la destra, anche semplicemente stringere la mano, e non volevano che crescessi mancino».

Il che non le ha impedito di diventare un professionista.

«Tra i 13 e i 14 anni ho avuto una crescita fisica importante e ho capito che potevo provarci. Quattro anni al college di Washington State, fino al 2017, mi sono serviti a formarmi come giocatore e come persona, pronto per fare il grande salto».

Il 2017 è l’anno in cui scopre l’esistenza della nazionale nigeriana.

«Sì, sono sincero, non sapevo nemmeno che avessimo una rappresentativa nazionale. Me ne parlò un compagno che mi chiese se fossi interessato, e così ho giocato il campionato africano a settembre (perdendo in finale con la Tunisia, ndr). Con me c’era mio fratello Uche, ed è stata un’emozione incredibile giocare assieme, ed anche un orgoglio per la nostra famiglia che ci segue sempre. Credo che li abbiamo resi orgogliosi, ripagandoli dei tanti sacrifici che hanno fatto per crescerci e per darci un’opportunità».

Poi il 13 ottobre, in pre-stagione, arriva una chiamata dal suo agente.

«Me lo ricordo bene, era venerdì ed ero sul divano di casa a Sacramento che guardavo una replica del match della sera prima tra i Kings e i Clippers. Mi chiama il mio agente e mi dice di preparare il borsone perché quella sera avrei dovuto giocare proprio per i Clippers».

Neanche il tempo di rendersi conto di cosa stesse succedendo ed era già in aeroporto.

«Era mezzogiorno, mi sono preparato e fiondato in aeroporto per prendere il volo per Burbank delle 15. Solo che era pieno. A quel punto c’erano due opzioni: uno per Orange County, che però arrivava più tardi, e uno per Lax (l’aeroporto internazionale di Los Angeles, ndr), che però era esaurito... A quel punto ho cercato di impietosire l’impiegata che mi ha trovato un sedile centrale. Mi ha chiesto se non fosse troppo scomodo, io le ho risposto che andava benissimo. Mica potevo perdere una simile occasione, anche perché se non fossi arrivato in tempo il treno non sarebbe ripassato. E così, quella sera sono stato allo Staples Center, dove ho segnato pure sette punti. È’ stata una grande emozione, vedere quel palazzetto storico, con le maglie ritirate sul soffitto. Peccato non sia durata molto, ma la soddisfazione di alzare qualche alley oop a Blake Griffin e DeAndre Jordan è stata impagabile».

Quattro anni dopo è ripassato un treno di quelli indimenticabili.

«Il 10 luglio 2021, giocavamo un’amichevole estiva contro Team Usa. Per la Nigeria era un’occasione unica, e per dare un’idea della differenza a livello di tradizione, basti pensare che alle Olimpiadi di Londra gli Usa vinsero 156-73. Loro schieravano Durant, Green, Lillard, Tatum… Vincemmo per 90 a 87 e nel finale ci fu un duello a suon di triple tra me e Kevin Durant, un ping pong dove cominciai a segnare io e lui che mi rispondeva colpo su colpo. Che sensazione!».

Fuori dal campo, le piace scattare fotografie per ricordarsi i momenti iconici della sua vita.

«Sì, e mi piace farlo con una Polaroid. Da un tocco vintage, che mi intriga particolarmente. Poi un’altra cosa che adoro fare è mettere su musica per i miei compagni di squadra. Mi improvviso dj e parto con la mia playlist fatta di musica R&B, l’ideale per rilassarsi e divertirsi».

Cosa le piace di più dell’Italia?

«Il cibo. Avete il miglior cibo del mondo! E adoro la pasta, tantissimo. Potrei mangiarla ogni giorno senza stancarmi mai. Il mio condimento preferito? Il ragù è molto buono, ma mi fa letteralmente impazzire il pesto. Pesto is perfetto!».

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