«Papà mi ha lasciato sbagliare da sola: per questo oggi sono qui alla guida della nostra Galdi»
Antonella Candiotto ci ha aperto le porte dell’azienda di famiglia, a Paese, una delle principali realtà nella produzione di macchine per l’industria alimentare
Fabio Poloni
Forse oggi non sarei qui, confessa, e per qui intende a dirigere un’azienda da 28 milioni di fatturato – con clienti che vanno da Parmalat a Latteria Soligo – se mio padre non avesse avuto l’intelligenza di lasciarmi sbagliare di testa mia. Aveva scelto un’altra vita, Antonella Candiotto, perché guidare un giorno la “creatura” di papà Galdino nella produzione di macchinari per l’industria alimentare non le passava neanche per la testa: la passione per l’attività fisica l’ha portata sulla strada del diploma Isef e poi di un lavoro in quel settore. «Non mi ha mai forzata a entrare in azienda, nella maniera più assoluta. La vita è una, mi ha sempre detto, e devi fare quello che credi, che ti piace».
Ma poi questa storia ha seguito il suo corso, e il «clic», come lo definisce Antonella stessa, «è scattato quando papà mi ha chiesto solo di aiutarlo con l’inglese in una fiera. Lì ho capito quanto fosse stimolante lavorare con l’estero». E oggi, dal subconscio, le viene automatico parlare di “sbaglio” riferendosi alle scelte della lei-giovane che si vedeva lontana da qui.
L’idea e gli inizi
L’inizio di questa storia imprenditoriale è molto simile ad altre: il genio e il talento che partono dal nulla, il figlio di un lattaio che coglie una gran prospettiva di mercato in quel mondo, poi la sua abnegazione e il suo coraggio nel partire «da zero, senza finanza, tutto da solo, nel suo garage», racconta oggi Antonella.
Galdi, il fondatore dell'azienda crea anche i modellini delle macchine che produce
Il raccontato è suo padre, ormai l’avrete capito, Galdino Candiotto, che nel 1985 decide di iniziare a produrre macchinari per l’imbottigliamento del latte. Il settore è rimasto quello, l’azienda è diventata un’eccellenza europea, con clienti in Italia già citati, da Parmalat a Soligo passando per Lattebusche, e soprattutto nel resto del continente, con l’export che pesa per quasi il 95% del fatturato. «Ci siamo evoluti puntando sulla qualità dei macchinari e sulla sicurezza, che in ambito alimentare è fondamentale», racconta Antonella.
Il passaggio
Oggi Galdi dà lavoro a un centinaio di persone qui in Italia, nella sede di Paese, e ha filiali estere in Usa, Russia e Marocco. Il passaggio generazionale è lo specchio della personalità del fondatore, come sempre in questi casi. «Naturale, mai forzato, mio padre ha sempre responsabilizzato non solo me, figlia unica, ma anche i manager che ha voluto in azienda – racconta Antonella, oggi cinquantenne, presidente e amministratore delegato – nel 2011 c’è stato un riassetto organizzativo, papà ha deciso di lasciarmi la guida, in consiglio di amministrazione oggi ci sono anche tre manager indipendenti».
Galdi, il "Village" per unire l'utile al bello in azienda
Galdino, classe 1947, continua a partecipare ai Cda e a mettere piede in azienda, ma non è certo il paròn che non si sogna nemmeno di mollare l’osso. La tradizione di non forzare la mano Antonella la vuole portare avanti anche con la terza generazione: «Mio figlio ha 16 anni, è ancora piccolo per parlare di un possibile futuro in azienda, ma ha tutt’altri interessi ad oggi e anch’io, come ha fatto mio padre con me, non ho alcuna intenzione di forzare la mano».
Produzione e sviluppo
Antonella ci accompagna nella parte produttiva, ci mostra il collaudo di un macchinario ad altissima automazione (valore circa 800 mila euro) che assembla cartoni in tetrapack da un litro che vanno poi nella catena del riempimento: «Saremo noi a portarlo e installarlo nell’azienda del cliente, seguendo poi anche tutta la parte di servizio post vendita».
Ricerca e sviluppo sono alimentate ogni anno da circa il sei per cento del fatturato dell’azienda e sono una chiave fondamentale: per la sicurezza, per i brevetti, «anche per il design del packaging e la microbiologia alimentare, aspetti dei quali si occupa una startup che abbiamo creato nel 2018, “Fill good”». Un gioco di parola con “fill”, riempire, che è la ragion d’essere delle loro macchine.
Il senso del bello
Un’azienda bella, anche in senso estetico. È del 2021 un restyling profondo, con la creazione dell’ala ribattezzata Galdi Village: la parte superiore, con le sue linee fluide, simboleggia il liquido che confluisce nella sezione inferiore, dalla forma squadrata, che richiama la forma di un contenitore “gable top”, il classico cartone col tappo in plastica. Un vero e proprio “place to fill”, come lo chiamano, un posto da riempire «con creatività, passione, talento». E poi mensa, palestra, piccolo auditorium, tutto bello e luminoso. Il welfare passa anche da qui, per attrarre e fidelizzare i lavoratori. «Alcune figure non sono facili da trovare, come gli ingegneri meccatronici nel nostro laboratorio. Ma abbiamo investito nell’attrattività, nella qualità del lavoro e dei progetti. E i risultati si vedono».
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