Morì in cantiere: fu colpa sua, impresa assolta
La Cassazione cancella la condanna a carico dei vertici della Cimolai di San Vendemiano per il tragico incidente sul lavoro a Fabio Carrer
Fabio Poloni
Morì nel cantiere, ma secondo i giudici fu colpa della sua imprudenza: la Cassazione cancella la condanna a carico dei vertici della Cimolai per la morte di un operaio di San Vendemiano, originario di Fontanelle, Fabio Carrer.
Era capocantiere in trasferta per lavorare sull’infinita Salerno-Reggio Calabria.
La mattina del 27 ottobre 2012 Carrer, 54 anni, dipendente della Cimolai Spa appaltatrice di lavori da parte dell’Anas, è rimasto vittima di un tragico incidente mortale lì, sul lavoro: stava smontando un parapetto del viadotto dell’autostrada, lungo quattro metri e pesante circa 240 chili, preventivamente imbragato, quando il parapetto stesso si è ribaltato e lo ha schiacciato. Arresto cardio-circolatorio da asfissia meccanica provocata dal gravissimo trauma toracico addominale riportato, questa la fredda motivazione medica del decesso.
La tragedia ebbe uno strascico legale: i vertici dell’impresa edile, nello specifico Mario Cimolai, 59 anni, ingegnere, direttore tecnico del cantiere, e Massimo Moras, 45 anni, geometra supervisore dei lavori, sono finiti a processo con l’accusa omicidio colposo con violazione della disciplina anti-infortunistica.
Giudicati con rito abbreviato, i due sono stati condannati in primo grado dal tribunale di Reggio Calabria il 14 gennaio del 2015, sentenza confermata dalla Corte d’appello dello stesso capoluogo l’11 maggio del 2021. Il piano di sicurezza del cantiere, secondo i giudici, era rimasto sulla carta, e il parapetto che ha ucciso Carrer non era stato imbragato con le catene dell’autogrù come invece era previsto.
Il ricorso in Cassazione però ha cancellato la condanna: secondo i giudici di terzo grado, infatti, è stata determinante l’imprudenza di Carrer, che già in precedenza aveva vietato a un suo sottoposto di compiere quella stessa operazione – giudicandola pericolosa – che poi gli è risultata fatale.
Sapeva, insomma, di compiere un’operazione a rischio. E l’ha fatto, inoltre, alle 6.40 del mattino, quando l’orario di inizio del turno era alle 7: anche per questo motivo, secondo i giudici, i supervisori non erano tenuti a essere presenti.
Da qui la sentenza che cancella la condanna, e rimanda la questione alla Corte d’appello di Reggio Calabria in diversa composizione, che ora «in assoluta autonomia di giudizio – si legge nella sentenza – affronterà i temi in questione, raccogliendo ogni possibile dettaglio circa la dinamica dell’infortunio ed eventualmente approfondendo se esistesse o meno una prassi di tolleranza verso condotte irregolari o pericolose nel cantiere, e se vi fosse una prassi di iniziare le lavorazioni prima dell’orario prefissato, ed eventualmente la ragione».
Anche in sede civile in appello era stata cancellata la condanna al pagamento di circa 309 mila euro da parte degli stessi vertici Cimolai.
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