L’ex dirigente: «Non solo cinesi, Electrolux debole è al centro di un risiko di portata globale»
Maurizio Castro, ex dirigente del colosso con stabilimento a Susegana, valuta i movimenti e le voci di cessione del “gigante del freddo”
Francesco Dal Mas
Electrolux in vendita e il colosso cinese Midea in pole position per l’acquisto? Susegana, la fabbrica del gruppo più in forma al momento, diventerà dunque cinese? Maurizio Castro non si dice affatto sorpreso. È direttore scientifico del Master Cuoa in Strategia aziendale, ma ha anche una lunga storia di dirigente di Electrolux e conoscitore del mondo cinese dell’elettrodomestico (portò infatti Wanbao al primo salvataggio della Zanussi Elettromeccanica dieci anni fa).
Castro, che idea si è fatto?
«Non sarei affatto stupito dall’eventuale conferma della notizia: la voce circolava da mesi negli ambienti finanziari, ed è difficile che certe voci circolino senza fondamento. La cessione da parte di Whirlpool ai turchi di Arcelik delle sue attività europee ne costituisce in qualche modo il presupposto. Electrolux e Whirlpool erano infatti da tempo i due gruppi dell’elettrodomestico con le maggiori incertezze strategiche: e sono da sempre in una relazione reciprocamente “imitativa”. Electrolux in particolare sconta l’ambiguità delle sue scelte in materia di posizionamento: ha abbandonato i marchi più forti come Rex e Aeg per concentrarsi sul più gracile (Electrolux), non è percepita come un produttore premium ed è condizionata dalle produzioni per conto terzi (Ikea), privilegia negli investimenti l’innovazione di processo su quella di prodotto con un approccio Anni ’80, non controlla più la tecnologia di prodotto avendo ceduto la sua componentistica qualificata, non ha sviluppato la sua “gallina dalle uova d’oro” (il professional, addirittura separato dal core business). Era inevitabile si ritraesse da un settore del quale non coglieva più l’orizzonte di senso».
Ritiene, quindi, che il gigante del freddo finirà davvero nelle mani di Midea, il colosso di Beijiao da 50 miliardi di fatturato?
«È ben possibile, ma non trascurerei la pista Haier, l’altro titano cinese, con sede a Tsingtao, da 30 miliardi di fatturato, che in Italia ha acquisito il Gruppo Candy dalla famiglia Fumagalli e che non ha mai celato il suo interesse a impadronirsi di Electrolux per puntare con determinazione alla leadership globale del settore».
Quali saranno le conseguenze di una cessione di Electrolux ai cinesi?
«Sul breve termine, non dovrebbero esserci conseguenze traumatiche, anche se è indubitabile che scoppierà una “guerra globale” fra i grandi produttori, soprattutto asiatici (oltre ai cinesi, sono in campo i coreani come Samsung e LG): non tanto per accaparrarsi il mercato europeo, pur tradizionalmente il più evoluto, quanto piuttosto per trovare un nuovo “ordine coloniale” che spartisca e attribuisca le rispettive “aree di influenza” alla luce dell’esaurimento del trentennio della globalizzazione e della sua utopia multilateralista, del ritorno alle piattaforme regionali e all’autonomia delle loro catene di fornitura e dell’immanenza di nuove crisi geopolitiche o pandemiche. L’Europa, e soprattutto l’Italia che dell’elettrodomestico è stata regina incontrastata fino agli Anni ’90, si troveranno in una condizione molto critica. La Germania potrà contare su un leader come Bosch che accentuerà la propria strategia premium e sui produttori delle nicchie più pregiate e più qualificate (Miele, Liebherr)».
L’Italia come deve reagire?
«L’Italia deve attrezzare in fretta una strategia nazionale, prima di assistere all’asfissia di quel che resta dei suoi grandi insediamenti produttivi, strangolati dalla ristrutturazione cui saranno condannati nel medio termine quale effetto della guerra competitiva che sta per scatenarsi nello scacchiere europeo per l’uscita (ingloriosa) di scena di due dei tre protagonisti degli ultimi 40 anni (appunto Electrolux e Whirlpool)».
La strategia nazionale su cosa si dovrà basare?
«In una prima fase il governo, con il supporto coeso e convinto delle parti sociali, che però va costruito con lucidità e coraggio senza darlo per scontato, deve severamente negoziare con i nuovi titolari degli insediamenti che furono di Zanussi e di Ignis (giusto per dire che stiamo parlando di elementi costitutivi della stessa identità industriale italiana), le condizioni del loro insediamento e della loro permanenza, attraverso la definizione congiunta delle missioni di prodotto e di mercato affidate ai singoli stabilimenti, dei relativi investimenti – anche in ricerca e sviluppo – e dei relativi percorsi occupazionali. In una seconda fase (da attivare comunque con urgenza) va costruito un “campione nazionale” che equilibri la pericolosa dominanza straniera in un settore chiave per il Paese (si pensi solo alla relazione con il sistema del legno-arredo)».
E come si costruisce un “campione nazionale”?
«In due modi: o accompagnando la crescita vigorosa di un produttore italiano di taglia media, e l’unico in campo è la Smeg controllata dalla famiglia Bertazzoni (la cui performance economica è buona ma il cui apparato industriale è limitato e fragile), o incentivando De’ Longhi a espandersi nei grandi elettrodomestici; ovvero creando una holding a trazione pubblica (almeno in una prima fase, per poi diventare una grande public company) che guidi il processo di integrazione e di sviluppo fra i produttori italiani minori, anche incorporando i siti che risultino indeboliti dalle ristrutturazioni recenti e ricostituendo un presidio adeguato della componentistica, e crei un’alleanza con i produttori del contiguo settore professional (Epta, Arneg, De Rigo, AliGroup, ecc.) bravi e forti ma troppo sparpagliati».
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