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«La Lega torni alle origini oppure sarà la sua fine»: Gobbo striglia i vertici e reclama i congressi

L’ex sindaco e segretario regionale a tutto campo sulla crisi di identità del partito, stronca le «logiche di leadership» e difende Bernardelli e i territori

Andrea Passerini
3 minuti di lettura

TREVISO. L’espulsione di Bernardelli, icona della vecchia guardia coneglianese, è l’ultimo caso che deflagra in una Lega dilaniata e divisa alle urne in almeno 4 Comuni su 8. Su vaccini e Green pass si litiga fra Treviso e Roma, via Venezia; sulle nomine future, associazione Comuni e galassia Asco non si è d’accordo. Il partito è in mano ai commissari, ma da tempo il fronte degli amministratori leghisti non parla la lingua dell’apparato. Ne abbiamo parlato con Gian Paolo Gobbo, padre della Liga Veneta.

Gobbo, cosa sta succedendo nella Lega? Scontri interni, espulsioni.

«Non so. Io osservo, scruto e deduco».

Avrà pure un’idea.

«C’è un’evoluzione, a certe pieghe non eravamo abituati. Si rischia di perdere di vista valori storici e radici, stanno prevalendo logiche di leader e leadership rispetto alle ragioni del partito e del movimento, ma non vale solo per la Lega, è un segno dei tempi».

Tasso di litigiosità interna altissimo. E fioccano i cartellini rossi.

«Nella vecchia Lega, le segreterie, o i consigli nathionàl e federali, davano la linea. E se si doveva discutere, lo si faceva anche duramente, al nostro interno. Ma alla fine c’era l’unanimità».

Ora siamo alle correnti. E ai linguaggi di versi tra Treviso da una parte, e dall’altra Roma. Vedi i vaccini.

«Suggerirei di introdurre una forma di obiezione di coscienza, come per la leva o per l’aborto. Quando si entra i campo etico e morale, bisogna contemplare e pensare anche a persone che dicano no. Credo che molti problemi potrebbero essere risolti, in questo modo».

Sta di fatto che qui si invita a vaccinarsi e si è per il Green pass; a Roma Borghi vota no al Green pass e altri manifestano contro i vaccini.

«Succedere perché non ci sono incontri, non si fanno riunioni, e i parlamentari non rientrano più in un contesto di dialogo con i loro territori. Manca il confronto diretto che è la linfa vitale di un partito e di un movimento».

Lei si è vaccinato?

«Certo, ho il Green pass. Non ho tante occasioni di mostrarlo perché non vado molto fuori. Ma i governatori hanno lavorato bene, hanno affrontato il problema subito. Si possono avere dubbi, ma è certo che essere vaccinati assicura maggiore sicurezza. E lo dico anche per chi ha altre patologie, come il sottoscritto».

Parlava di confronto diretto. Tutti in effetti chiedono il congresso.

«Non solo il confronto, direi mancano oggi anche le sedi del confronto, se ancora i militanti valgono qualcosa, che poi sono quelli che lavorano e si danno da fare. Di fatto il partito è commissariato da quasi 4 anni, quando per statuto i segretari si cambiavano ogni 2 anni, una volta. E i direttivi sono nominati, con effetto a caduta. Non discuto le persone, tutti bravi, ma il meccanismo. Non si può andare avanti così, ora la tecnologia consente di incontrasi anche in rete. Urgono verifiche e discussioni, non si può andare avanti così, rischia di bloccarsi tutto».

Inedita anche questa frattura fra Veneto e Roma. C’è chi auspica futuri bavaresi autonomi per la Liga.

«Piano, alternative non ne vedo. I territori e il Veneto restano il nostro faro, a livello nazionale la leadership di Salvini non si discute, ha portato la Lega dal profondo rosso a essere primo partito. Certo dopo le amministrative una valutazione andrà fatta, e si dovranno indire i congressi».

[[(gele.Finegil.StandardArticle2014v1) Il governatore si destreggia tra Draghi e Salvini: in Veneto vince il dialogo, la copertura all’80% è vicina]]

I congressi sono ora il mantra della Marca.

«Sono essenziali. Un segretario eletto, sia di sezione che di circoscrizione, sia provinciale o regionale, viene rispettato anche dalla parte che non lo ha votato, perché ha l’investitura della maggioranza della base del partito. Questo oggi non c’è, e i commissari non potranno mai averle queste prerogative, con tutta la buona volontà».

E da qui che nascono i mille scontri per la comunali?

«Certo ognuno si sente in diritto di fare quello che vuole, non si va a discutere fra le parti, e succede quel che è avvenuto a Cordignano, Oderzo e Villorba».

Fuori Sarri, fuori Parchi. E ora Bernardelli.

«Ho dubbi sui poteri dei commissari, non so se possa espellere militanti con oltre 20 anni di tesseramento, forse può solo chiederlo. E poi c’è una gradualità, nei provvedimenti: penso all’abbassamento, da militante a sostenitore».

Bernardelli è un simbolo della vecchia guardia. C’è una connotazione generazionale?

«Prendere un caffè con un avversario non è lavorare per lui, se si arriva a questo. Per un caffè con un avversario devo nascondermi in casa? Allora è regime. Con Germano Zanetti dei Ds andammo alla Richard Ginori per salvare la Pagnossin. Insieme, per impedire i licenziamenti. E nessuno me l’ha mai contestato».

Ha qualcosa da dire al commissario Bof? O a quello veneto Stefani?

«Per carità, hanno avuto l’incarico e lo stanno esercitando. Sono bravi, non discuto. Magari non sarei andato sui giornali ora, avrei preferito un’altra gestione, con una verifica più rigorosa. E avrei atteso, per Bernardelli, prima di mettere in discussione 30 anni di impegno nel partito».

Ma vedendo queste divisioni e queste candidature plurime, cosa ha pensato?

«Francamente, una cosa come quella di Cordignano non l’avevo mai vista. Due leghisti che corrono, e non c’è il nostro simbolo. Mah».

C’è nervosismo a Conegliano. Se la sente di sbilanciarsi?

«Spero nell’en plein».

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