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Delitto sul Piave, l’atto d’accusa:«C’è una responsabilità morale chiara: i tagli di Ulss e Regione portano a questo»

Monsignor Crestani, presidente dell’Assiociazione tutela salute mentale (Aitsam) dalla parte delle famiglie abbandonate: «Servizi psichiatrici trascurati, poco lavoro in équipe. Il Veneto fra gli ultimi in Italia per investimenti in questo campo»

Francesco Dal Mas
2 minuti di lettura

TREVISO.  «La responsabilità morale di tragedie come quella dell’Isola dei Morti, e di altre verificatesi in Veneto, non è solo di chi direttamente si è macchiato di sangue».

Lo sostiene monsignor Ermanno Crestani, già parroco di Sant’Andrea e Fregona, una vita spesa a sostegno delle famiglie dei malati di mente, oggi presidente dell’Aitsam Treviso (Associazione italiana tutela salute mentale) e componente del Consiglio di Dipartimento di psichiatria dell’Ulss 2. Solo il 16 giugno aveva presentato una precisa denuncia. Morale, ma non solo.

Monsignore, c’è anche una corresponsabilità morale, quindi secondo lei.

«Magari non della singola persona, ma sicuramente del sistema; di un’organizzazione che, mi lasci dirlo, è mortifera».

A chi si riferisce?

«Il sistema dell’assistenza psichiatrica dipende dalle Regioni e dalle aziende sanitarie, le Ulss. È da anni che chiediamo a Treviso e a Venezia di intervenire con risorse e persone».

Perché i malati di mente non vengono intercettati nella loro gravità e le loro famiglie neppure?

«I servizi psichiatrici non sono stati messi nelle condizioni, in questo tempo di pandemia e di emergenza anche economica, di intercettare l’emergenza psichica, il più delle volte nascosta, scambiata spesso per una “semplice” depressione. È in atto un contagioso acutizzarsi della malattia, ma anche una sua consistente diffusione, fuori controllo; specialmente nei giovani, negli anziani soli, in qualche famiglia; si è esteso prepotentemente il problema degli invisibili e dei non consenzienti gravi, una situazione sommersa».

Si è intervenuti istituzionalmente modificando il Piano di Zona.

«Il quadro generale è rimasto lacunoso e fa vittime tra utenti e cittadini».

[[(gele.Finegil.StandardArticle2014v1) Sequestrati i filmati della tabaccheria dove l’omicida, Fabrizio Biscaro, si è recato lunedì e martedì pomeriggio. L’esercente: «Avrebbe potuto colpire me. Provato dal lockdown, voleva vaccinarsi e viaggiare»]]

È di pochi giorni fa un’altra tragedia: un settantenne in cura ai Servizi che si è tolto la vita accoltellandosi in bagno. I servizi psichiatrici non seguono con la necessaria attenzione?

«Abbiamo bravi professionisti ma non c’è il lavoro di équipe. E l’équipe comprende anche il medico di base, l’assistente domiciliare del Comune e dell’Ulss, la famiglia. Spesso ogni soggetto agisce in proprio. E questo perché è da considerarsi in tutta la sua gravità anche il nodo dei finanziamenti previsti per legge: sono rimasti sempre molto al di sotto del 5% della Sanità previsto dalla legge, e vedono la regione Veneto occupare gli ultimi posti tra le regioni italiane. Siamo intervenuti a tutti i livelli, specialmente con la Regione Veneto, richiamando la legge: siamo rimasti inascoltati. Ci sentiamo traditi».

[[(gele.Finegil.StandardArticle2014v1) Al momento del macabro rituale lei era ancora agonizzante. La barista è stata uccisa da almeno venti coltellate, quella letale al costato le ha perforato un polmone]]

La pandemia ha impegnato la sanità su altri fronti.

«Sì ma la carenza di personale è endemica. Medici e altri operatori sono spesso in fuga dalle periferie. Mancano alcune figure professionali, come i sociologi, addetti alla riabilitazione, assistenti domiciliari. Certi avvicendamenti sono dannosamente lenti».

La novità del “Budget di Salute” che con finanziamenti ad hoc impegnava a rinnovare le metodologie di intervento, perché non ha funzionato?

«Nel Veneto non si era pronti, perché c’è poco uso del progetto terapeutico personalizzato, ed è ancora scarsa la mentalità del lavoro in équipe, e la presenza prevista delle famiglie e dei Comuni nei relativi progetti».

Si dice che dovrebbe essere la famiglia a chiedere per prima l’intervento dei Servizi psichiatrici?

«Non si è ancora capito che la famiglia, distrutta dalla malattia del parente, non ha più la forza di chiedere aiuto? Si vergogna, perché questa malattia è considerata come lo stigma più grave che possa capitare. Ci vuol molto a capire se una famiglia ha un problema di questo tipo o no? I medici di base, le assistenti domiciliari, la prossimità sociale (anche parrocchiale) non hanno proprio nulla da rimproverarsi? Ecco, proprio le famiglie pongono la necessità di una formazione permanente obbligatoria sia professionale che etica del personale storico e nuovo: ce n’è bisogno, perché certi operatori ci fanno male».

C’è il rischio che si arrivi a “implorare’ la riapertura dei manicomi.

«Non diciamo stupidaggini. La segregazione per chi? Per migliaia e migliaia di malati? Le terapie ci sono, le comunità di accoglienza non sempre. Talvolta, però, vediamo che negli auspicati percorsi terapeutici e alla promozione e integrazione sociale (inserimento lavorativo, l’autonomia, la domiciliarità ecc.), quando ci sono, ci si ferma all’assistenzialità pura. Perché mancano risorse, non c’è personale». 

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