TREVISO. «Appena saputo quel che mi era successo ho pensato subito a Bebe Vio». Lo ha detto Manuel Bortuzzo, ventenne promessa del nuoto azzurro, vittima a Roma del folle tiro a segno di Daniel Bazzano e Lorenzo Marinelli nel corso di una spedizione punitiva che aveva finito con lo sbagliare obiettivo.
Le ore successive erano state catalizzate dall’ansia per la sorte del ragazzo trevigiano, ma una volta conosciuto il responso dei medici, per i quali quasi certamente - con gli attuali limiti della scienza - Manuel non potrà recuperare l’uso delle gambe, l’attenzione dei media è stata attirata dalla “battaglia contro l’impossibile” del nuotatore azzurro, che vuole a tutti i costi provare a risalire la china della funzionalità.
«Il mio esempio è Bebe», ha detto citando ciò che di più vicino e noto aveva, ovvero la moglianese Beatrice Vio, che perse gli arti (andarono in necrosi e le furono amputati) per una meningite fulminante che la colpì quando aveva 11 anni. Da allora Bebe, con la forza di una leonessa e adattandosi con fantastica furia all’uso degli arti artificiali, ha risalito il burrone del male fino a diventare campionessa paralimpica di scherma e fino a “rientrare” del tutto nella vita, fino ad assurgere a simbolo della tenacia e della voglia di non farsi battere dalla sventura.. Niente di strano, insomma, che Manuel a vent’anni abbia subito pensato alla quasi coetanea e conterranea nel suo progetto di riscossa. In queste ore Bebe Vio non è a casa, ma al suo numero risponde papà Ruggero.«Bebe è contenta che Manuel l’abbia citata come esempio, anche perché in questo momento il ragazzo ha assolutamente bisogno di fare riferimento a qualcosa che è successo davvero e non a vaghe speranze. Contemporaneamente mia figlia è colpita dal clamore e dalle abbondanti presenze contate attorno a Manuel.
Purtroppo sappiamo bene che, dopo un primo momento in cui il mondo sembra non interessarsi di altro, poi l’attenzione può andare scemando e le presenze possono diradarsi. Crediamo che Manuel e i suoi familiari possano temere proprio questo, e bene fanno a tenere accesa l’attenzione.
Quando tutto il clamore sarà passato, l’onlus che porta il nome di Bebe ci sarà ancora, come c’è stata in tutti questi anni, accanto a tutti i casi simili a quello che ha toccato mia figlia.
Ecco, come Bebe e l’onlus sono stati accanto a tanti ragazzi e ragazze, così, quando si potrà lavorare in silenzio lontani dai riflettori e da una mediaticità aggressiva e a tratti morbosa, saremo pronti a rispondere alla chiamata di Manuel e dei suoi cari. In questo momento sarebbe una esibizione farsi vivi con la famiglia Bortuzzo, ma stiano sicuri che da noi arriverà sicuramente un aiuto».
Certo chi patisce repentinamente il passaggio dall’efficienza fisica di un atleta a una disabilità che impone una “nuova vita”, si abbevera all’esperienza di chi “c’è passato” e Bebe, come forse vuol fare Manuel, è passata dalla passione per la scherma a fare di questo sport uno strumento di riscatto e uno stimolo a crescere umanamente, nonostante la sventura si sia accanita rischiando di “vincere” la partita con la sua vittima.
Dunque Bebe, quando politici, colleghi e amici cominceranno a essere un po’ meno presenti, promette che ascolterà Manuel e proverà a trasmettergli insegnamenti e incoraggiamenti per combattere la sua battaglia. Fermo restando il fatto che il nuotatore continua a sognare una “impossibile” guarigione.