I giovani vanno a donare il sangue, l’Avis di Castelfranco torna a crescere
Castelfranco. L’Avis cresce in controtendenza rispetto al resto della Marca. È questo il dato che emerge dalla assemblea comunale che si è tenuta sabato pomeriggio

CASTELFRANCO. L’Avis cresce in controtendenza rispetto al resto della Marca. È questo il dato che emerge dalla assemblea comunale che si è tenuta sabato pomeriggio presso la sede all’ospedale San Giacomo dove sono state tante le novità incoraggianti.
A partire da numero di donazioni registrate nel 2017, che sono aumentate di 111 unità rispetto all’anno precedente, mentre sono in calo a livello provinciale. Le donazioni totali sono state infatti 2.438 (2.083 sacche di sangue, 340 sacche di plasma e solo 15 sacche di piastrine, in quanto la raccolta delle piastrine è stata spostata a Treviso per un riordino delle attività a livello provinciale) venendo incontro al fabbisogno di sangue degli ospedali locali, ma anche fuori provincia e regione quando necessario.
L’esercito dei donatori castellani è attualmente di 1.642 persone e il numero dei nuovi iscritti nel 2017 ha fatto conseguire il miglior risultato degli ultimi dieci anni. Sono stati 152 (equamente divisi tra maschi, di cui sei di origine straniera, e femmine, sette straniere). Ma l’aspetto più importante da sottolineare è ancora il notevole arrivo di giovani: sui 152 nuovi iscritti 91 hanno un’età compresa tra i 18 e i 30 anni. «Ovviamente il nostro obiettivo primario resta quello di puntare ancora sulla crescita convinti che il 2018 possa superare i traguardi raggiunti – ha detto il presidente di Avis Castelfranco, Osvaldo Rossi – Un grande merito va sicuramente alle attività di sensibilizzazione nelle scuole superiori di Castelfranco, dove l’Avis incontra centinaia di ragazzi delle classi quarte e quinte».
Ma anche di fronte a questo successo l’Avis castellana chiede di lavorare di più e meglio: «Nonostante le rassicurazioni già ricevute, continuiamo a chiedere con forza che il centro trasfusionale di Castelfranco torni a lavorare a pieno regime, dotato di personale medico e infermieristico numericamente adeguato e con un allargamento dell’orario, se necessario. In particolare, in vista della chirurgia oncologica dello Iov».
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