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Minotti: "Insulti razzisti da condannare, senza scuse"

Parla l'ex capitano del Treviso dopo il caso degli ultras contro Yves Gnago

2 minuti di lettura

TREVISO Quei volti pitturati di nero sono diventati il volto della lotta al razzismo nello sport. Una risposta del Treviso nel 2001 al becero affronto degli ultras ad Akeem Omolade, nella partita di Serie B contro la Ternana. Successe diciassette anni fa, eppure questa storia non può ancora finire negli archivi, non può essere liquidata come “passato”. Akeem Omolade, attaccante nigeriano classe 1983, si apprestava ad esordire in Serie B, fremeva in panchina. Ma poi volle dimenticare quel giorno. Quando Mauro Sandreani, allora tecnico del Treviso, decise d’impiegarlo, in risposta, circa 30 ultras ritirarono gli striscioni e abbandonarono il “Liberati”. Nella partita successiva, domenica 3 giugno 2001, il Treviso solidarizzò con Omolade, entrando in campo con il volto dipinto di nero: l’avversario era il Genoa, i biancocelesti erano già retrocessi, ma come nelle favole più belle Akeem riuscì pure a segnare. Quel gesto valse il Premio Fair Play dell’Uefa.

Capitano di quel Treviso era Lorenzo
Minotti, oggi commentatore Sky, che con i compagni si inventò l’iniziativa di solidarietà.

Minotti, che ricordi ha della partita di Terni?

«Ricordo soprattutto il ritorno in pullman. Omolade piangeva. Quelle lacrime avrebbero dovuto essere di gioia perchè aveva esaudito uno dei suoi sogni, l’esordio in prima squadra. Invece erano lacrime di rabbia, di tristezza».

Come vi venne in mente di tingervi il volto di nero nella partita successiva?

«Fu un una scelta del gruppo. Volevamo stare vicini a un ragazzo giovane, che aveva visto rovinare il suo esordio in Serie B per un atteggiamento incommentabile. Che trascendeva da ogni aspetto sportivo».

Ha girato l’Italia da calciatore. Il razzismo è un problema di tutta la penisola, o solo di alcuni stadi?

«Riguarda tutto il paese, ma si accentua con alcune tifoserie infiltrate da ideologie politiche. Questi episodi vanno ben oltre la disputa sportiva, vanno a calpestare la dignità umana».

Sono passati 17 anni eppure siamo ancora qui a parlarne. Perchè?

«Evidentemente non si è fatto abbastanza. Il razzismo è un problema che non riguarda solo lo sport ma tutta la società. In tutti gli ambiti in cui si verificano episodi di questo genere non bisogna subire passivamente. Già condannare il gesto senza se e senza ma sarebbe un buon passo avanti».

Cosa consiglierebbe di fare oggi ai compagni di Gnago?

«È un caso diverso dal nostro perchè in quel caso furono gli stessi sostenitori della squadra ad insultare Omolade. In questo caso sono stati gli avversari. Ai compagni del Portomansuè dico di stare vicino al ragazzo. Sarebbe bello però che a fare qualcosa fossero anche i giocatori del Treviso, memori di quello che è accaduto nel 2001».

Ad esempio?

«Non serve andare in campo con il volto colorato di nero come noi. Ma sfruttando i social condannare l’episodio, magari con una storia su Instagram o qualche post su Facebook».

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