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Elena, la cacciatrice di fossili

Giovane paleontologa lancia raccolta fondi per restaurare i reperti di due milioni di anni fa

di Valentina Calzavara
2 minuti di lettura
POSSAGNO. Un «piccolo» rinoceronte, un elefante dalle lunghe zanne e il lontano parente di un cervo brucano l'erba sulle colline di Possagno. Due milioni di anni fa la zona era una piccola oasi “tropicale”, ricca di boschi e laghetti. I dinosauri si erano già estinti, l'uomo non esisteva ancora, la zona era habitat ideale di grandi mammiferi erbivori.

Poi sono arrivate le glaciazioni, che hanno portato le mandrie preistoriche all'estinzione, ma le tracce del loro passaggio non sono andate perdute. Quasi trent’anni fa, un’inezia nella linea del tempo, nella località di Steggio a Possagno, la terra ha iniziato a restituirci il passato. Un gruppo di studiosi ha avviato gli scavi e scoperto il più importante giacimento fossile del Nord Italia risalente al periodo del Villafranchiano medio. L'argilla nel sottosuolo aveva conservato scheletri e preziosi frammenti della fauna primordiale. Uno stephanorhinus etruscus (rinoceronte), un archidiskodon meridionalis (elefante), uno pseudodama nesti, molto simile a un cervo così come l'eucladocero. Ci sono anche un bisonte, un ghiro, un roditore e tanti altri piccoli mammiferi. Tutto il materiale scoperto è finito al museo di Possagno ma, come spesso accade in Italia, mancavano risorse per valorizzare il patrimonio culturale. C'era il rischio che tutto finisse sotto la polvere. Fortunatamente, non è andata così. Il progetto riprende oggi vigore grazie all'impegno di una giovane paleontologa, Elena Ghezzo, 33 anni, originaria del Lido di Venezia, che ha deciso di riaccendere la luce sui fossili di Steggio, avviando una campagna di raccolta fondi online per attivare un programma di ricerca e comparazione. «Nonostante la notevole importanza, il sito di Steggio è praticamente sconosciuto a livello internazionale, ed è un peccato. Vorrei cercare di rinnovarne l'interesse a livello locale e anche oltre confine» racconta la paleontologa. Al suo fianco in questa ambiziosa sfida i colleghi Mauro Bon e Marzia Breda, nonché il tecnico di laboratorio Paolo Reggiani. «Abbiamo ottenuto i permessi da parte del Comune e della Soprintendenza e adesso il materiale si trova al museo di Storia Naturale di Venezia. Non avendo fondi, abbiamo pensato che la strada più rapida fosse tentare con il sito GoFundMe dove ognuno può donare qualcosa se interessato» aggiunge Ghezzo. L'obiettivo è arrivare a 7 mila euro il prima possibile, dato che i permessi per lo studio scadranno probabilmente nella primavera del 2018. «Se arriveremo al budget prefissato potremo digitalizzare il materiale e confrontarlo con alcune collezioni fossili presenti in Spagna e Germania, portando avanti gli studi sulla fauna» sottolinea l'esperta. Sarà come vedere la biodiversità del nostro pianeta a bordo della macchina del tempo. «La comparazione con le specie rinvenute in altri paesi ci permetterà di capire come si sono evolute, le loro caratteristiche e avere cognizione di quali animali fossero presenti anche se non si sono conservati» racconta Ghezzo. Il suo lungo curriculum rivela numerose esperienze da “cacciatrice” di fossili: dai reperti di Bolca al restauro di un cavallo al museo archeologico di Oderzo, mentre a Torino si è occupata di una loxodonta africana e di un megatherium, rispettivamente parenti di un elefante e di un bradipo. Poter leggere i fossili di Steggio ha però un fascino particolare. «Fin da bambina ho amato le scienze naturali» spiega «poter dare la giusta visibilità al sito trevigiano significa ricostruire un momento di vita che oggi non c'è più». Si aggiungerebbe un altro tassello importante all'albero genealogico della Terra.

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