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C’è la ripresa, ma non si trova personale

Nella Marca quattromila posti che le aziende faticano a coprire. E la Rotas affigge gli annunci in Viale della Repubblica

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TREVISO. Nella Marca ci sono 4 mila posizioni lavorative che le aziende hanno grosse difficoltà a reperire. Posti di lavoro come tanti tasselli liberati dalla ripresina, destinati però a restare vuoti perché mancano i professionisti. Da un lato, nei mestieri tradizionali: dal falegname al panettiere, dal sarto all’idraulico. Dall’altro, in tutte quelle professioni collegate al digitale e alle nuove tecnologie, che spesso corrono più veloce della formazione fornita da scuola e università. E così le aziende (soprattutto metalmeccaniche) non riescono a far fronte all’aumento degli ordini, tanto che qualcuno (è il caso della Rotas, l’azienda di Treviso che produce le etichette per il mondo dell’enologia) per trovare ingegneri, periti e stampatori specializzati è costretta ad affiggere i cartelli lungo la strada.

Ripresina e posti di lavoro. Sono due i dati alla base del fenomeno. Primo, il report trimestrale della Camera di Commercio Belluno e Treviso: dice che la produzione nelle aziende della Marca è cresciuta del 4,1% rispetto all’anno scorso, e gli ordini dall’estero sono aumentati del 5,6% sempre su base annua. Secondo, la ricerca Excelsior di Unioncamere: in Veneto il 28,4% delle oltre 86 mila entrate previste nelle aziende nei prossimi tre mesi presenta «difficoltà di reperimento», riguarda cioè posti di lavoro per i quali non si trovano, sul mercato, addetti all’altezza. Non solo uno spreco di opportunità (nella Marca i posti difficili da reperire sarebbero, secondo le stime di Unioncamere, oltre 4 mila), ma anche un concreto rischio di frenare la ripresa a causa della carenza di competenze.

«Manca l’alta specializzazione». Che sia un pericoloso freno per le aziende lo sottolinea anche Vendemiano Sartor, presidente Confartigianato Treviso: «È una situazione che fa soffrire le imprese metalmeccaniche, quelle che stanno più beneficiando della ripresa e che dovrebbero essere supportate anche in termini di personale. Si tratta di un problema che negli ultimi tempi aveva sempre coinvolto l’artigianato, e che ora si sta estendendo anche all’Industria 4.0: abbiamo poche figure tecniche di livello, quando servirebbero persone in grado di programmare e far funzionare macchine da milioni di euro». Il problema secondo Sartor starebbe nella forbice, che si allarga sempre di più, tra mondo dell’istruzione e impresa: «Chiediamo operai specializzati, ma le nostre scuole professionali lavorano con torni vecchi di vent’anni, quando gli studenti entrano in fabbrica trovano strumentazioni completamente diverse. E non potrebbe essere altrimenti: la scuola non può ammortizzare investimenti sull’alta tecnologia. Per questo chiediamo di rafforzare l’alternanza scuola-lavoro».

Numero chiuso nelle università. Più drastica la ricetta proposta da Alfonso Lorenzetto, presidente Cna Treviso, che negli anni ha sempre lamentato la difficoltà dei suoi associati a trovare falegnami, meccanici, idraulici, calzolai, cuochi e sarte, i “mestieri” senza ricambio generazionale, e che ora aggiunge all’elenco delle posizioni introvabili (o quasi) gli sviluppatori di software, gli addetti al marketing digitale e all’e-commerce, gli esperti di design digitale e user experience. «Il numero chiuso nelle università per immettere nel mercato solo i laureati che servono, e orientare meglio i fondi per lo studio per sostenere non le facoltà che fanno più corsi ma quelle che licenziano gli studenti più preparati, mi sembra una buona misura» sostiene Lorenzetto. «Il 75% dei laureati in giurisprudenza, ad esempio, è disoccupato, mentre ci sono numerosi comparti senza intelletti e manodopera». Un altro appunto: imparare il “mestiere” non basta più. «I lavori artigiani rispetto alla generazione precedente sono cambiati», spiega Lorenzetto, «e dovranno cambiare ancora, nel segno dell’innovazione anche digitale».

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