Il terremoto di Veneto Banca: come è potuto succedere e perché
Il crac azionario delle (ex) popolari venete pesa quasi 19 miliardi di euro, più di quello della Parmalat
Fabio Poloni
I disastri naturali, dal terremoto allo tsunami, non bastano più come paragone. C'è chi l'ha chiamata la “terza guerra mondiale”, per il Veneto: è la cronaca dei due anni che hanno raso al suolo le due principali banche popolari del territorio, Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza.
Il crac azionario delle (ex) popolari venete pesa quasi 19 miliardi di euro, più di quello della Parmalat. Il paragone shock arriva dalle associazioni di tutela dei consumatori Adusbef e Federconsumatori. «Il doppio dissesto della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca dell'ex padre-padrone Vincenzo Consoli sarà di almeno di 18,9 miliardi di euro, a danno di 210.000 mila azionisti tra azzeramento del valore delle azioni (10 miliardi), perdite negli ultimi tre anni (per 4 miliardi), aumenti di capitale (4,9 miliardi).
Cosa è successo? E' successo che la grande anomalia delle banche non quotate, ovvero che a fare il prezzo delle proprie azioni sono le banche stesse, è esplosa fragorosamente con tanto di perquisizioni, indagini della finanza e della magistratura. L'ipotesi – che si traduce in capi d'imputazione come l'aggiotaggio, oltre all'ostacolo alla vigilanza – è che Veneto Banca e la Popolare di Vicenza abbiamo “gonfiato” ad arte la propria capitalizzazione e il valore delle azioni.
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In che modo? Prestando denaro ai clienti per far loro comprare azioni della banca, oppure vendendo azioni anche a risparmiatori ignari delle basilari regole finanziarie. E' così che quello che sembrava un circolo virtuoso – crescita continua, valore delle azioni in impennata tra il 2005 e il 2013 – si è dimostrato vizioso, malato, falsato. E ora, con la spinta della crisi economica che ha portato alla luce l'altro grande baco del sistema, ovvero le sofferenze – i prestiti che non rientrano - nascoste per anni sotto il tappeto dei bilanci, il castello è crollato.
C'è chi l'ha definita la cronaca di una bolla annunciata. Ma sulla quale gli organismi di vigilanza hanno chiuso gli occhi. Oscar Giannino, giornalista ed economista, è stato uno dei primi a suonare l'allarme sullo stato di salute del sistema bancario italiano e sulle anomalie delle quotazioni azionarie delle popolari venete. Gli abbiamo chiesto come spiegherebbe a un veneto dove sono finiti 11,5 miliardi di capitalizzazione di due banche popolari? «Quesi soldi se ne sono andati da tempo, con valori delle azioni che non avevano alcun corrispettivo reale». Una bolla? «Era una bolla totale».
A pagarne le spese sono i quasi 88 mila soci di Veneto Banca e i circa 120 mila della Popolare di Vicenza. Da Silvio Berlusconi fino al vostro vicino di casa, o forse voi stessi. Dalla famiglia Marcegaglia a Roberto Bettega, da Bepi Stefanel a Luca Zaia. E' la lista sterminata dei quasi novantamila soci di Veneto Banca.
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Ascesa e declino, guadagno e rovina: è la classifica per numero di azioni, per portafoglio: una cordata eterogenea - imprenditori, risparmiatori, pensionati, colossi della finanza, politici, persino i vescovi - per una scalata che ora rischia di finire malissimo, con un valore di quotazione in Borsa (dieci centesimi l'ipotesi più bassa) lontano anni luce dal picco di 40,75 euro toccato nel 2013. The higher you are, the harder you fall: più sei in alto, più ti fai male cadendo.
Quindici anni di crescita impetuosa distrutti in pochi mesi. Era la classifica del potere, è diventata - per molti - quella del disastro. Per i grossi gruppi finanziari e assicurativi (Da JP Morgan a Generali) si tratta di minusvalenze pesanti ma comunque ammortizzabili, nel mare di bilanci miliardari. Per imprenditori locali e medi risparmiatori, che alle azioni Veneto Banca hanno imprudentemente affidato il loro destino a piene mani, il tracollo sarà difficile da somatizzare.
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Ora, dopo cambi al vertice e incertezze continue, il destino è da scrivere. Come soluzione di sistema per puntellare gli istituti di credito azzoppati è nato il fondo Atlante. Il primo intervento è stato proprio a Vicenza: il fondo, guidato dalla Quaestio Sgr di Alessandro Penati, ha sottoscritto praticamente per intero (oltre il 99%) l'aumento di capitale da un miliardo e mezzo imposto dalla Bce, rendendo impossibile lo sbarco in Borsa.
A Montebelluna potrebbe succedere lo stesso: l'aumento di capitale va sottoscritto tra il 6 e il 20 giugno, dopodiché si faranno i conti. Se sarà un flop, anche in Veneto Banca entrerà Atlante come azionista di maggioranza. E poi chissà, potrebbe lavorare a un piano di fusione proprio tra le due ex popolari.
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Quello che era il sogno nemico di Gianni Zonin e Vincenzo Consoli, “mangiarsi” l'altro, ora potrebbe realizzarsi partendo dalle macerie. E a tremare, dopo gli azionisti che ora fanno partire raffiche di denunce, adesso ci sono i dipendenti: la fusione tra Montebelluna e Vicenza porterebbe sicuramente a tagli pesantissimi dovuti alla forte sovrapposizione
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