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"Veneto Banca, l'ordine era vendere le azioni"

Parla uno dei dipendenti dell’istituto di credito trevigiano. «Tensione negli uffici, premi solo a chi seguiva la linea»

2 minuti di lettura

TREVISO. Imperativo «fare patrimonio», «vendere azioni» il più possibile, a chiunque, con tutte le forze. Questo il diktat che circolava nelle filiali di Veneto Banca. A raccontarlo un ex dipendente dell’istituto di credito, Giuseppe, un cinquantenne trevigiano che operava nella provincia e che si è licenziato due anni fa anche a causa di quelle che definisce «pressioni».

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Le tantissime testimonianze fatte dagli azionisti della Veneto Banca alla mail della Tribuna raccontano di azioni offerte come sicure, a tutti. Anche per favorire prestiti. Come funzionava, dentro?
«Quello che i miei superiori prevedevano che venisse fatto quotidianamente, ovvero vendere azioni a chiunque fosse capitato: dal piccolo consumatore, all’impresa neocostituita, ai pensionati, senza alcun limite e a prescindere alle volte dalle reali necessità del cliente». 
 
Obiezioni ce n’erano?
«L’imperativo era fare patrimonio, alle richieste di chiarimenti o manifestazioni di dissenso veniva risposto che quello era l’obiettivo».
 
Sempre stato così?
«A dire il vero no, le cose sono cambiate nel 2009, 2010, dopo le grandi acquisizioni di altre banche».
 
Ma chi dava gli ordini?
«Le responsabilità non sono da ricercarsi solo nella banca, ma nelle persone che ancora oggi ricoprono cariche ufficiali di alto grado: i funzionari della banca. Attribuisco a loro e a questo modo di gestire i dipendenti, una delle cause del collasso generale che oggi vediamo: molti dipendenti delle filiali hanno venduto a ignari clienti “azioni” di cui non avevano la certezza, per paura di dover affrontare le punizioni. Questa la verità, per quanto concerne la mia esperienza personale».
 

L'INTERVISTA/ "Veneto Banca, indotti a vendere azioni a ogni costo"

 
 
Documenti informativi a corredo delle vendita di azioni c’erano? 
«Ovvio, ma non sempre chiarissimi, diciamo così. Si faccia caso che in Veneto Banca ci sono tantissimi piccoli soci, ma solo una piccolissima percentuale di questi ha acquistato le azioni non quotate con cognizione di causa e credendoci; la fetta più grande della clientela è stata indotta, alle volte finanziata dalla stessa banca per acquistarle».
 
Proprio sulla modalità di gestione dei prestiti e delle azioni è aperta una indagine della magistratura. Ma chi vendeva di più era premiato?
«È la logica di tutte le aziende. Pensate che in passato mi venne proposto un innalzamento di grado proprio nel campo dei clienti privati, e alla mia domanda sul fatto che non avessi preparazione finanziaria adatta mi venne risposto che l'importante era vendere».
 
“Fare patrimonio”. E chi non lo faceva? 
«Gli veniva dato tempo, ma se non arrivava al risultato... via, cambio di ruolo in alcuni casi, cambio di luogo di lavoro in altri. Idem per chi non si allineava. Certo è una dinamica che si può trovare in altre aziende private ma...».
 
 
Il clima era teso? 
«Vi dico questo: alle volte venivano stilate liste degli stessi dipendenti che venivano fatte circolare internamente, si indicava pubblicamente chi fra questi possedeva azioni e chi no... Tutto normale?»
 
E chi ne aveva? Cresceva? Saliva la scala professionale?
«Gli azionisti che oggi rischiano di perdere molto sono tanti, ma si pensi che internamente alla banca veniva caldeggiata agli stessi dipendenti la sottoscrizione di un prestito a tasso agevolato finalizzato al solo acquisto delle azioni Veneto Banca dicendo che, per chi le avesse acquistate, ci sarebbe stata la strada libera... C’è chi per questo è cresciuto e chi invece è finito lontano, o ha lasciato».
 
Che ne pensa, oggi, di quel che sta accadendo?
«Ogni banca ha i suoi sistemi per ottenere i risultati e conquistare gli obiettivi finanziari che si pone. Ci mancherebbe altro, ma il messaggio che è passato negli ultimi anni è stato solo quello del profitto. Vendere, vendere, vendere, senza star lì a spiegare cosa e come, e cosa sarebbe potuto succedere se... che non erano azioni quotate ma altro genere di prodotti... e così facendo è venuta meno la fiducia in tutto l’istituto. Veneto Banca non era così, ribadisco. Dare però la colpa a Consoli è inutile e sbagliato. È il sistema che è stato gestito male a vari livelli».
 
C’è chi vorrebbe accusare anche i direttori di filiale...
«Credo che serva solo a trovare un capro espiatorio. Non credo siano loro i colpevoli di questa situazione».
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