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Ballerine per la pace a Treviso. E dal costume spuntano le bandiere ucraina e russa

L’arte contro la guerra nella coreografia di Silvia Funes. «Dobbiamo proteggere la cultura e creare più unità». Il video

Valentina Calzavara
2 minuti di lettura

TREVISO. Danzano insieme la bandiera gialla e blu dell’Ucraina e quella bianca, azzurra e rossa della Russia. Mentre i fragori della guerra riempiono di morte le cronache di tutti i giorni, la scuola di danza Fifth di Treviso, diretta da Silvia Funes, si mobilita e lancia un messaggio di pace e fratellanza tra i popoli che si traduce in un atto altamente simbolico: la coreografia “Dona nobis pacem” su musiche di Max Richter.

IL VIDEO

Ballerine per la pace a Treviso: la coreografia della scuola di danza di Silvia Funes

Interpretata nel parco di Villa Manfrin-Margherita dalle allieve dell’accademia trevigiana, ragazze tra i 14 e i 16 anni, che prima danzano in abiti civili e poi scoprono le due bandiere. Un gesto discreto ma eloquente. «Il concetto alla base di questo balletto è che l’arte, in tutte le sue forme, deve essere un veicolo di pace. Niente come la cultura consente la libertà di espressione, una visione conciliante del mondo e delle sue diversità, respingendo al contempo ogni forma di violenza» dice la direttrice Funes, che ha creato la coreografia insieme al collega Daniel Ruzza.

Silvia Funes 

POLEMICHE E NON SOLO

Resta sullo sfondo il suono delle polemiche che hanno visto cancellare dal cartellone vicentino del Teatro Comunale di Lonigo “Il Lago dei Cigni” del russo Cajkovskij, chiudere per lo stesso motivo “anagrafico” un corso su Dostoevskij alla Bicocca di Milano, mentre è saltata una partita amichevole di calcio nel Padovano che doveva portare in campo atleti russi e ucraini in un abbraccio fraterno. Non mancano tuttavia alcuni spiragli di speranza: due noti violinisti, una russa e l’altro ucraino, che si sono esibiti insieme sul palco a Palermo e a Napoli un balletto che ha unito i due popoli.

La coreografia trevigiana riporta sotto un unico cielo due nazioni mai così lontane, trasformando la danza in una metafora di inclusione e pace. «Le ballerine sono vestite nella prima parte dell’esibizione con dei costumi scuri ad indicare il peso della guerra, ma quando si tolgono quei vestiti, l’effetto che deriva dall’abito sottostante rimanda all’essenza della persona. Uno spogliarsi simbolico dalla bruttezza dei pregiudizi, delle armi, dell’odio, per cercare la purezza di una unione senza distinzioni» prosegue Funes.

BELLEZZA PER RESISTERE

Al netto delle responsabilità storiche e politiche di questa inaccettabile guerra, che dovranno essere giudicate condannando gli aggressori russi, l’arte della danza fa largo alla silenziosa resistenza della bellezza. Una chiamata alle arti, un invito a fermare le armi. Non è stata casuale la scelta di portare il “Dona nobis pacem” all’interno di un luminoso giardino, dove il verde allude alla speranza e il colonnato alle spalle delle danzatrici rappresenta un simbolico abbraccio. Nonostante la giovane età delle allieve, l’amore per la danza e per il suo messaggio ha portato le ballerine a impegnarsi al massimo per questa coreografia che potrebbe essere presentata in altre occasioni per divulgare un pensiero positivo. «Se ci serviamo dell’arte per creare delle differenze perdiamo di vista il senso» conclude Funes «dobbiamo restare uniti, evitare i paradossi che vanno a nutrire l’odio. Già ce n’è troppo, proteggiamo le cose belle che possono creare condivisione e tenere accesa la speranza della pace». —

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