Nel 1978, in una scena memorabile di Star Wars, la principessa Leyla compare sotto forma di ologramma a Obi One Kenobi per chiedere aiuto contro l’Impero. Il tempo è passato, le tecnologie si sono evolute e siamo arrivati lì anche noi: agli ologrammi che si teletrasportano nello spazio. E’ accaduto qualche mese fa, l’8 ottobre,, ma la Nasa lo ha detto soltanto adesso: l’ologramma di un chirurgo, Josef Schmid, è stato teletrasportato da terra sulla Stazione Spaziale Internazionale, che era a 400 chilometri di distanza, dove ha interagito con gli astronauti. Con il dottore c’erano anche il capo della startup di realtà virtuale che aveva messo a disposizione la tecnologia (Aexa Aerospace), e un paio di collaboratori che naturalmente si sono fotografati a bordo della Stazione Spaziale sebbene in quel momento fossero a terra.
Il fenomeno ha un nome preciso: holoportation, l’unione delle parole hologram e teleportation, teletrasporto, e non è una novità assoluta. Dieci anni fa al festival Coachella comparve l’ologramma di un rapper ucciso molto tempo prima che fu in grado di duettare con Snoop Dogg. E più recentemente la Microsoft ha fatto una dimostrazione di una tecnologia in grado di far apparire nella stessa stanza le persone durante le riunioni in smart working.
Quello che sta accadendo però è che questi sistemi stanno diventando sempre più facili, realistici ed economici. E’ una prospettiva interessante: non siamo noi ad entrare nel metaverso, in una realtà virtuale; ma è il nostro ologramma a vivere nel mondo fisico. Il confine fra le due dimensioni sarà sempre meno percettibile.