Le mascherine servono davvero, ma non a quello che pensiamo
di RICCARDO LUNA
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Quando fra un secolo si chiederanno come hanno fatto gli esseri umani a venire a capo del coronavirus Sars Cov2, con quale incredibile tecnologia abbiamo fermato i contagi, probabilmente si risponderanno: con le mascherine. Esattamente come era avvenuto per la pandemia di influenza spagnola del 1918. Sì certo, la scienza nel frattempo ha fatto passi da gigante, il vaccino verrà molto prima del solito, ma in questa pandemia la mascherina ha giocato fin da subito un ruolo decisivo. E controverso. Complice anche le linee guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanitàche ha preso una posizione molto criticata: non servono, ha detto fin dai primi giorni, se non siete malati e non lavorate con infetti. Nel frattempo le mascherine sono diventate una politica di sanità pubblica quasi ovunque e qualche giorno fa c'è stata una revisione delle linee guida OMS ma la sostanza non è cambiata moltissimo: le mascherine sono consigliate solo in specifiche situazioni altrimenti, si dice, sono rischiose o addirittura dannose.
Come stanno le cose? Lo ha scoperto un ricercatore italiano. Ha scoperto che le mascherine servono davvero, ma non per quello che pensiamo noi. Lui si chiama Massimo Marchiori, ha 51 anni, insegna matematica a Padova e tanti anni fa ebbe una certa notorietà internazionale perché ad un convegno in Silicon Valley ebbe l'intuizione per far funzionare un motore di ricerca del web e la condivise con uno dei due che poi avrebbero fondato Google. Nessun rimpianto, Marchiori è un ricercatore coi fiocchi a cui piace usare la matematica per capire come funziona il mondo. Tra le sue ricerche di questi anni ce n'è una sul comportamento delle mucche per fare latte migliore, una su cosa fa sì che una squadra di calcio prevalga ed una terza sulla larghezza ideale dei viali nei centri commerciali per favorire gli acquisti.
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Quando è iniziata la quarantena Marchiori ha deciso di provare a misurare la distanza sociale reale, ovvero come cambia il nostro comportamento rispetto agli altri se indossiamo o no una mascherina. Così ha attaccato un sensore alla cinta dei pantaloni e ha cominciato a girare per Venezia; con i suoi collaboratori ha mappato circa 12 mila incontri, soprattutto sui marciapiedi. E ha scoperto che la mascherina serve, forse non a fermare le goccioline che portano il virus, ma a mantenere le giuste distanze. Infatti se incontriamo qualcuno con la mascherina, istintivamente gli stiamo alla larga, se non la indossa la nostra natura sociale prevale e ci avviciniamo. È un comportamento controintuitivo, perché proprio la mascherina dovrebbe proteggerci in sé e quindi consentirci di stare più vicini agli altri: ma evidentemente lo stimolo visivo ci ricorda che il pericolo non è passato. Meglio stare distanti. "Il virus sfrutta il nostro essere umani, la socialità. Per batterlo dobbiamo averne un po' di meno per un po'", dice Marchiori. Morale: il distanziamento sociale senza mascherine non funziona; imporlo per legge da solo non ha l'efficacia sperata (lo dicono i numeri); con una mascherina la nostra natura sociale si mette momentaneamente da parte.
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