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La fase 2 e l'inattesa rivincita dei cubetti sull'open space
(ansa)

La fase 2 e l'inattesa rivincita dei cubetti sull'open space

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Con qualche milione di persone pronte a tornare al lavoro da domani, alcuni potrebbero trovare una novità importante in ufficio: la fine dell’open space. Ovvero di quel concetto di lavoro in grandi stanze aperte, con tante scrivanie, o meglio lunghi tavoli da condividere, senza posti fissi, che così collaboriamo meglio e ci scambiamo le idee e chissà cosa ci inventiamo. Faceva molto Silicon Valley, l’open space, e anche in Italia lo avevano adottato le grandi aziende che volevano farsi percepire come moderne, aperte, innovative. Ma in tempi di coronavirus, come si fa? Si fa che tornano i cubetti, i cubicles in inglese, gli uffici che hanno dilagato ovunque a partire dagli anni 60 negli Stati Uniti: ogni scrivania incapsulata in un cubetto (ma aperta sopra); una soluzione a basso costo per avere tante persone in una stanza ma consentire un po’ di privacy e una certa personalizzazione (tipo: sulle pareti del cubetto ci attacco le foto di famiglia, i biglietti della partita e così via).

Il dilemma open space/cubicles non è una questione di design, non è materia da architetti: riguarda la concezione del lavoro e in definitiva della vita. E’ l’eterna sfida fra aperto e chiuso, collaborazione e individualismo, socialità e privacy. L’open space, complice il dilagare della cultura digitale,  sembrava oramai avere vinto su tutta la linea, ma la pandemia ha cambiato le esigenze. Secondo una ricerca condotta su 305 aziende americane, la maggioranza sostiene che una riconfigurazione degli spazi di lavoro sarà inevitabile. I cubicles però non lo sono, o almeno non ancora. Va seguito con attenzione come andranno le cose a Talent Garden (TAG), la più grande rete europea di campus per innovatori, luoghi dove con gli altri taggers condividevi scrivania, cucina, poltrone da meditazione, sale eventi e giochi per passare il tempo.

Da lunedì nei quattordici campus italiani di TAG ci saranno entrate a scaglioni con numeriche massime predefinite per evitare assembramenti; controllo digitale della temperatura all’ingresso; fornitura di gel antibatterico in ogni punto di contatto; richiesta tramite app di igienizzazione delle superfici; rimodulazione delle distanze fra le scrivanie andando ad occupare le sale eventi che tanto non si fanno più; ripensamento dell’area caffè con pagamento obbligatorio cashless, senza contanti; sensori IOT per controllare la qualità dell’aria e un collegamento via Zoom sempre attivo per favorire incontri in video chiamata. “Insomma, niente cubicles” promette il co fondatore Lorenzo Maternini per il quale questa emergenza potrebbe rivelarsi una opportunità per chi punta su grandi spazi di coworking, con le aziende che spostano dipendenti in campus attrezzati e con la giusta distanza sociale per rispondere alle esigenze del tempo. Senza cedere ai cubetti. Per ora.