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Perché l’agenzia spaziale europea è sempre più interessata ai videogiochi

Perché l’agenzia spaziale europea è sempre più interessata ai videogiochi
Parla Lionel Ferra, l'ingegnere franco-tedesco formatosi a Darmstad, che da anni si occupa dell’addestramento degli astronauti
6 minuti di lettura

Sono qui per dire ‘bravo’ all’industria dei videogiochi. Crea curiosità, interesse e amore nei confronti dell’esplorazione spaziale […]  Grazie per la vostra dedizione, la vostra abilità tecnica e per la passione profusa nel raccontare storie. Ispirate sempre più persone a unirsi a noi, nella vita reale […] I gamer portano al nostro lavoro quotidiano un bagaglio prezioso di conoscenze e tecnologie. Mi sarebbe impossibile elencare tutti i modi con cui l’industria del videogioco ha toccato e influenzato l’esplorazione spaziale. Grazie”.

Recapitato lo scorso agosto alla Gamescom di Colonia, questo videomessaggio è stato spedito da Samantha Cristoforetti, in quel momento nel pieno della missione Minerva, cioè lanciata a 27mila chilometri orari quattrocento chilometri sopra la superficie terrestre.

È significativo l’astronauta italiana, fra i volti più rappresentativi dell’Agenzia spaziale europea (l’Esa), abbia deciso di partecipare alla kermesse videoludica più importante d’Europa: vetrina comunicativa straordinaria - e perfetta per presentare la collaborazione fra l’Esa e l’imminente Kerbal Space Program 2 - la Gamescom rimane fra i pochi eventi capaci di catalizzare l’attenzione degli addetti ai lavori, dei media, ma anche dei semplici amanti del videogioco. È una convergenza perfetta per chi, come l’Esa, sempre più spesso attinge al videogioco impiegandone modalità espressive, competenze e, perché no, l’immensa popolarità.

L'Esa ha partnership consolidate con gli sviluppatori europei e continua a offrire competenze e risorse a beneficio delle loro attività. Non è un caso i legami sempre più stretti tra i videogiochi e le attività spaziali costituiscano un nuovo ambito di lavoro e sviluppo per Lionel Ferra: ingegnere franco-tedesco formatosi a Darmstad (con due lauree in ingegneria Aerospaziale e in Automazione), da anni Ferra si occupa dell’addestramento degli astronauti. All’Eac, lo European Astronaut Centre, ha fondato l’Extended Reality Lab, o Xr Lab, dedicato a tecnologie “ben più che divertenti”. Detto altrimenti, il suo è il gruppo di lavoro deputato a testare e sviluppare tecniche e tecnologie in cui fantascienza e attività spaziali collimano. Gli abbiamo chiesto di raccontarci in dettaglio perché l’Esa è sempre più attenta al gaming. E non solo a quello di tematica spaziale.

Ferra, che cosa lega l’Agenzia spaziale europea al mondo del gaming?
“Stiamo lavorando molto con la realtà virtuale e quella aumentata, impiegandone sia le declinazioni professionali che commerciali. Circoscrivendo la risposta all’attività del mio laboratorio, la maggior parte delle nostre applicazioni, se non la totalità dei quindici progetti realizzati, si basa su motori di gioco come Unreal Engine e Unity. È un aspetto significativo, come il fatto che l’Esa impieghi spesso hardware di gioco, dalle schede grafiche ai computer, fino ai visori.

A proposito di Hmd, a parte i modelli professionali, ogni giorno usiamo Meta Quest, Vive Pro e Vive Pro 2; disponiamo di tecnologia anche di fascia più alta, come Varjo Xr-3 e in generale abbiamo diverse connessioni con l’industria di settore, legami proficui con Ubisoft, Epic Games e altre compagnie. Non meno importante, il gaming influenza anche il mio modo di reclutare il personale: ai candidati chiedo sempre quale sia la loro esperienza in ambito videoludico. Mi interessa se abbiano sviluppato un gioco, partecipato a una game jam, se siano videogiocatori e, in caso, quale titolo preferiscano al momento. Non che il reclutamento sia appannaggio esclusivo dei gamer, sia chiaro, ma per me l’interesse in quest’ambito è significativo” – in ambito informatico l’Esa ha peraltro siglato, lo scorso novembre, un contratto pluriennale con Techyon, multinazionale HR-Tech specializzata nella ricerca e nella selezione di professionisti senior e manager in ambito informatico, ndr.

Lo scorso agosto, la partecipazione di Samantha Cristoforetti alla Gamescom di Colonia era una conferma dell’interesse dell’Esa nei confronti del videogioco?
“Avevamo e abbiamo l’obbiettivo di rendere l’Esa più visibile fra i gamer, un pubblico che in anni recenti non abbiamo frequentato spesso. Insieme con canali come Tik Tok, eventi come Gamescom e altre piattaforme ci permetteranno di comunicare meglio le nostre attività e magari anche di reclutare ragazze e ragazzi altrimenti irraggiungibili. Come già detto, poi, per noi il gaming non è solo uno strumento comunicativo: usiamo motori e hardware di gioco anche per migliorare l’addestramento degli astronauti. Li prepariamo a volare sulla Stazione spaziale internazionale con alcuni programmi di realtà virtuale. Oggi, per esempio, parte della robotica è spiegata tramite Vr. Dal prossimo anno cominceremo anche a insegnare anatomia in augmented reality utilizzando HoloLens2”.

Dunque il gaming è parte integrante anche nello sviluppo di progetti nuovi?
“In più di uno, a cominciare dal Gateway, la stazione che sarà lanciata in orbita cislunare fra qualche anno e fungerà da supporto logistico alle attività sulla superficie. Una collaborazione, peraltro, che vede fortemente coinvolta l’industria italiana: con i tecnici di Thales Alenia Space, in realtà virtuale abbiamo fatto alcune revisioni progettuali dei progressi e degli studi del modulo in costruzione. Indossati i visori, Luca Parmitano, Alexander Gerst e altri astronauti hanno potuto visitare, insieme con gli ingegneri di Torino, gli ambienti progettati per poi analizzarli: ‘questo dovrebbe andare lì, questo è troppo piccolo, questo troppo grande’. Adesso stiamo replicando quanto fatto con il Gateway anche per il lander lunare, visto che sebbene automatico dovrà interagire con gli equipaggi, per esempio per le operazioni di carico. Stiamo effettuando diverse revisioni e interazioni del progetto utilizzando la Vr”.

Quello in realtà virtuale è un addestramento efficace?
Sì, ma non adatto a qualsiasi esigenza. La percezione aptica, per esempio, è insoddisfacente: nelle nostre cucine, percepiamo subito se stiamo toccando una superficie plastica o di legno. Negli ambienti virtuali siamo lontani da questo risultato. Al contrario, ci sono condizioni non replicabili nella vita reale, per esempio la microgravità, che in Vr possono essere riprodotte: possiamo simulare l’assenza di peso, riprodurre un ambiente con un sesto della gravità terrestre, come quello lunare; possiamo simulare la luce del Sole sulla faccia, i suoi riflessi, la polvere. Tutte cose che già facciamo e che funzionano molto bene. E con sviluppi promettenti”.


Per esempio?
“Stiamo sviluppando simulazioni dedicate alle attività extraveicolari per visualizzare l’ambiente, gli strumenti e tutto quel che fluttua intorno a un astronauta. Il problema è che, a oggi, non sappiamo riprodurre il modo in cui la tuta ostacola i movimenti. Abbiamo provato usando un esoscheletro, ma con scarso successo. Per ora continueremo a usare le immersioni in piscina per preparare quegli esperimenti in cui sia necessario maneggiare qualcosa. Tornando alla domanda, risponderei quindi sì, l’addestramento implementato dalla realtà virtuale funziona e, nonostante qualche mancanza, è promettente. Peraltro, nelle operazioni robotiche, abbiamo già constatato una riduzione del tempo di addestramento. Speriamo di misurare lo stesso anche rispetto all’addestramento per le operazioni fisiche”.

Avete notato qualche predisposizione specifica dei videogiocatori alle attività spaziali?
“Quando si è giocatori non si vuole un basso frame rate, corretto? Quando assumo qualcuno mi aspetto abbia il medesimo approccio anche fuori dal contesto di gioco: se si usa una delle nostre applicazioni e la user experience non è buona, abbiamo sbagliato qualcosa. Chiedo di trasporre l’esperienza videoludica in una buona esperienza utente: occorre avere una interfaccia efficace, un buon gameplay. Bisogna domandarsi quanto sia piacevole rimanere in un nostro ambiente digitale. È questa la chiave di ogni gioco: se non è piacevole, lo abbandoni. Nel nostro caso, se chi indossa un visore non apprezza quel che sta facendo, la sua attenzione diminuisce così come l’effetto didattico. Il metodo che stiamo utilizzando per sviluppare tutti i quindici progetti è iterativo: proviamo, effettuiamo beta test e ripetiamo, ripetiamo fino a quando il prodotto è pronto e lo distribuiamo. Finora non abbiamo distribuito molto, ma speriamo di fare di più molto presto”.

Pensa che realtà virtuale e aumentata possano offrire un supporto psicologico agli astronauti durante un viaggio interplanetario, magari su Marte?
“Ho impressioni contrastanti a riguardo, perché lavoro con gli astronauti da quasi vent’anni e ho capito che, a volte, il supporto psicologico potrebbe essere considerato poco o per nulla utile. È più probabile, durante una missione marziana, gli astronauti apprezzerebbero la possibilità di connettersi con i propri cari in una maniera più immersiva. Penso a un’esperienza nel Metaverso, in cui sia per esempio possibile, con un visore e da Marte, condividere un divano con i propri figli rimasti a casa, con i genitori o con un amico per una chiacchierata. In questo caso, poco a che vedere con i videogiochi; immagino video immersivi tridimensionali e in stereoscopia, a 360 gradi, che consentano incontri virtuali. O che sostituiscano, in questo senso offrendo sì un supporto psicologico importante, ambienti naturali, come boschi, prati, giardini. La mancanza del contatto con la natura, nei lunghi viaggi spaziali, sarà un tema”.

Si potrà camminare in una foresta mentre si galleggia all’interno di un’astronave diretta su Marte?
“Certo e senza troppe difficoltà. Si potranno anche combinare necessità operative e ambienti diversi: si potrebbe progettare una sessione di allenamento immergendola in una tappa del Giro d’Italia, o in un percorso montano specifico. In sintesi, disporremo di un modo migliore per connetterci in modo immersivo con chiunque e anche qualche elemento naturale quando si fa esercizio. Non sono certo ci siano altri progetti di supporto psicologico, ma ritengo questi, due ottimi esempi per preservare al meglio il benessere degli astronauti”.

Perché lei è interessato ai videogiochi?
“Non sono un gamer accanito e gioco solo quando gli impegni me lo consentono. La potenza del gaming però mi interessa molto, così come l’opportunità di impiegarla nel nostro settore. Nel 2017, quando con un Vive cominciammo i test, uno studente decise di comandare un braccio robotizzato attraverso il visore: bene, si immagini il braccio nella stanza. Si sostituisca la stanza con la Luna. Abbiamo cominciato così, sperimentando; oggi cresciamo alla velocità della luce. Uno dei fatti più importanti è che sia che stiamo entrando in contatto con persone e competenze nuove. Quanti, interessati allo spazio, avranno davvero la possibilità di volare sulla Iss o di camminare sulla Luna? Oggi la tecnologia videoludica permette di soddisfare, almeno virtualmente, queste ambizioni e, a un tempo, dà la possibilità a noi di connetterci con le nuove generazioni”.

Anche per questo usate software e applicazioni diffuse e accessibili? “Esatto. Unreal Engine, per esempio, è facile da usare. Qualche tempo fa chiamai un collega vicino alla pensione per proporgli di dare un’occhiata al software. Oggi usarlo è il suo incarico principale”.

Quali sono i tre migliori videogiochi spaziali di sempre?
“Ho giocato molto a Doom 1, 2 e 3. Ho persino comprato un computer per farci girare il terzo. Posso considerarlo un gioco spaziale?”

Più fantascienza che spazio in senso stretto…
“Allora ne approfitto: l’ultimo gioco che ho apprezzato è stato Half-Life: Alyx, incredibilmente buono in realtà virtuale. Dovessi tornare allo spazio, menzionerei però Tetris, di cui sono stato un campione per anni. Vero, con lo spazio non ha a che fare: ma ci giocavo per ore, di notte, nelle lunghe attese prima che lo Space Shuttle decollasse”.