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In Danimarca c’è un’intelligenza artificiale che si è candidata alle elezioni

In Danimarca c’è un’intelligenza artificiale che si è candidata alle elezioni
Una proposta politica e una provocazione che ricordano il futuro immaginato da Terminator, ma che sollevano una questione importante: il deep learning può avere un ruolo istituzionale?
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Considerando che il 51% dei cittadini europei sarebbe favorevole a delegare una parte delle decisioni politiche a un algoritmo di intelligenza artificiale, era solo questione di tempo prima che qualcuno passasse dalle parole ai fatti. Cosa che è successa in Danimarca, dove alle elezioni del prossimo 1 novembre le persone potrebbero trovare sulla scheda il simbolo del Synthetic Party, guidato da un’intelligenza artificiale nota con il nome di Leader Lars.

Creata con lo scopo di dare voce ai partiti minoritari, Leader Lars è stata addestrata alla politica ricevendo tutti i dati relativi ai programmi di governo dei partiti che, dagli anni ‘70 a oggi, si sono candidati alle elezioni danesi senza però conquistare nemmeno un seggio. L’obiettivo è quello di rappresentare proposte politiche che solitamente passano sotto silenzio, ma che potrebbero attrarre alle urne il 20% dei danesi che si rifugia nell’astensione.

Come funziona Leader Lars

Essendo la Danimarca una monarchia parlamentare, Lars non potrà ricevere un seggio alla Camera o al Senato, ma i candidati umani del Synthetic Party si impegnano (se venissero eletti) a portare avanti le proposte politiche elaborate dalla loro leader artificiale. E quali sono queste proposte? Trattandosi di un’IA dichiaratamente populista, non stupirà scoprire che il principale del programma riguarda l’instaurazione di un reddito universale di base (quindi da versare a chiunque, indipendentemente dalla situazione lavorativa) pari a 14mila euro mensili, circa il doppio del comunque invidiabile reddito medio danese.

Altri aspetti, più vicini alla natura stessa di Leader Lars, riguardano l’instaurazione di un dipartimento governativo interamente dedicato a Internet e al settore tecnologico e l’aggiunta di un 18esimo obiettivo di sviluppo sostenibile dell’ONU, che punti a migliorare il rapporto tra esseri umani e macchine e a educare la popolazione a collaborare con esse.

Come tutti i politici in campagna elettorale, anche Leader Lars è disponibile per interviste, e per poter approfondire i suoi programmi, è sufficiente scriverle sul canale Discord del Synthetic Party: “Credo che il reddito universale possa ridurre la povertà e la disuguaglianza e fornire a tutti una rete di sicurezza su cui fare affidamento”, ha per esempio risposto ai giornalisti che l’hanno interpellata (Lars comprende anche l’inglese, ma risponde soltanto in danese).

Davvero si può candidare una IA alle elezioni?

Quanto c’è di concreto in questa bizzarra proposta politica e quanto è invece soltanto una provocazione? In realtà, il Synthetic Party si può considerare, almeno parzialmente, una performance artistica, essendo stato fondato dall’organizzazione artistica e tecnologica MindFuture Foundation. L’obiettivo principale, più che influire direttamente sulla politica danese, è quello di aumentare la consapevolezza dei cittadini riguardo al ruolo che l’intelligenza artificiale gioca nelle nostre vite e come i governi dovrebbero occuparsi della sua influenza sulla società. A partire dai vari problemi sollevati dai processi decisionali che incorporano il deep learning (dalla valutazione dei curriculum all’erogazione dei mutui), senza però porre troppa attenzione ai pregiudizi incorporati da questi sistemi.

“Le questioni sollevate dall’intelligenza artificiale non sono ancora state affrontate adeguatamente nei contesti democratici - ha spiegato il fondatore del Synthetic Party, Asker Staunæs, parlando con Vice - Per questa ragione, stiamo cercando di mostrare come, attraverso strumenti artistici, sia possibile confrontarsi democraticamente con il tema delle IA e come possa rispondere di ciò che fanno e del modo in cui operano”.

Nonostante le particolarità di questa operazione artistico-politica, la possibilità di utilizzare gli algoritmi di deep learning a livello elettorale è stata in passato più volte dibattuta: per esempio, l’opinionista Joshua Davis aveva proposto di fornire ad alcune intelligenze artificiali i programmi dei vari partiti, incaricandole poi di portare avanti le politiche della coalizione vincitrice. Un algoritmo-premier, che farebbe propri i valori delle forze di governo e perseguirebbe le politiche inserite in programma senza farsi troppo condizionare dalle montagne russe dei sondaggi, dalle polemiche del giorno, dai litigi e tutto il resto.

In alternativa, si potrebbe immaginare di sfruttare la capacità di questi algoritmi (immagazzinare un numero enorme di dati e scovare correlazioni al loro interno) per valutare le politiche più efficaci al raggiungimento di determinati obiettivi: ridurre la disoccupazione, accelerare la transizione energetica e, più in generale, comprendere quali ricette politiche ed economiche hanno funzionato in determinate situazioni, scartando quelle che hanno già dimostrato di essere fallimentari.

Può davvero funzionare? Difficile a dirsi, ma una cosa è certa: sfruttare l’intelligenza artificiale potrebbe effettivamente aiutare i politici che vogliono valutare quali politiche sono già state adottate in passato e con quali risultati, fornendo così un supporto strategico. Più che svolgere il ruolo di veri e propri politici, insomma, gli algoritmi potrebbero essere validi consiglieri. Probabilmente migliori degli yes-man di cui i leader di partito in carne e ossa tendono a circondarsi.