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Il flop di Truth (il social di Donald Trump) ha motivi tecnici più che politici

Il flop di Truth (il social di Donald Trump) ha motivi tecnici più che politici
(afp)
La piattaforma, ancora irraggiungibile nel nostro Paese, torna sul Google Play Store negli Usa. Ma il periodo non è dei migliori, tra numero di utenti in stallo, problemi nella moderazione dei contenuti e qualche difficoltà economica
3 minuti di lettura

Il 2020 e l’emergenza Coronavirus hanno portato con sé una serie di temi e argomenti che sono tutt’ora oggetto di discussione in tutto il mondo. Uno di questi, per quanto riguarda i social network, è la moderazione di contenuti. Dai post su Covid-19 fino alle fake news, il dibattito in questi 2-3 anni è stato acceso. Tanto che sono nati, in reazione alle politiche di controllo delle principali piattaforme come Facebook, Instagram e Twitter, una serie di social network alternativi.

Uno di questi è Truth Social, lo spazio digitale creato dal “censurato” per eccellenza: quel Donald Trump il cui ban da Twitter e Facebook è stato uno dei principali argomenti di discussione nel mondo tech nei primi mesi del 2021. Truth doveva essere, nell’intenzione dell’ex Presidente Usa, una piattaforma libera, senza censure. Ebbene, in questi giorni sta sbarcando anche su Google Play negli Usa (la piattaforma non c’è ancora in Italia), proprio dopo un accordo con Alphabet sulla moderazione dei contenuti.

Sì perché Big G aveva respinto, lo scorso agosto, l’iscrizione di Truth Social allo store di applicazioni Android. E l’aveva fatto, in particolare, perché la piattaforma non aveva una politica di moderazione dei contenuti che incitano alla violenza. Problema risolto, adesso, tanto che nei prossimi giorni gli utenti americani potranno scaricare l’applicazione anche dallo store di Google.

Il punto è capire quanti effettivamente lo faranno. Il periodo, per il social network fondato da Donald Trump, non è dei migliori. Dopo un paio di picchi nei download, uno nelle prime settimane successive al lancio e uno dopo la perquisizione della FBI a Mar-A-Lago, il futuro dell’applicazione sembra incerto. E c’entrano almeno tre motivi diversi, dalla effettiva qualità del social network ad alcune difficoltà tecniche e finanziarie.

 

Un giro su Truth Social

La domanda principale che chiunque si è fatto quando Trump ha lanciato Truth è stata: ok, ma ora chi ci si iscrive? Al momento, non esistono vere stime sul numero di utenti attivi presenti sulla piattaforma. Si parla di circa 2 milioni di persone al mese contro, per citarne uno a caso, i 300 milioni di Twitter. Lo stesso Trump è arrivato a quota 4 milioni di follower, contro i quasi 90 prima del ban sul social network dell’uccellino.

Pochi utenti che, in realtà, nemmeno usano così tanto la piattaforma. Secondo un approfondimento di Rolling Stone, Truth sta facendo di tutto per nascondere le poche interazioni. Nelle ultime settimane, sul social network è addirittura impossibile accedere all’intera lista dei follower di un qualunque account, così come a quella dei ReTruths, la versione trumpiana dei Retweet. Una mossa, secondo il magazine statunitense, per nascondere la presenza di account artificiali, utilizzati per gonfiare i numeri.

In questo senso, dato importante arriva dal Pew Research Center, uno dei principali istituti di ricerca d’oltreoceano. In uno studio sui social network alternativi, i ricercatori hanno scoperto come gli utenti bannati da altre piattaforme non vedano in Truth uno spazio di interesse, ma preferiscano invece social network come BitChute, Rumblr, Gettr o Telegram.

 

I problemi tecnici

Alla base di questa disaffezione, possono esserci questioni di natura tecnica. In effetti, a partire dalle infinite liste di attesa dei primi mesi e dall’interfaccia quasi interamente ripresa da Twitter, Truth non si è distinto per la validità della propria componente tecnologica.

Secondo una inchiesta di Reuters, i motivi sono anche politici. Il management di Trump Media & Technology Group (TMTG), la società che gestisce Truth, avrebbe infatti rifiutato di assumere personale ritenuto vicino agli ambienti liberal della Silicon Valley; un’avversione, peraltro, ricambiata da buona parte dei tech worker californiani. Una circostanza che secondo l’agenzia di stampa tedesca avrebbe rallentato la corsa della piattaforma e diminuito le sue possibilità di competere con altri social network.

Ma il punto non sono solo i problemi tecnici. Anche sulla moderazione dei contenuti, al netto dei proclami di libertà assoluta, i problemi non mancano. In tanti hanno raccontato in questi mesi di essere stati bannati per contenuti apparentemente innocui ma connotati politicamente, come un post sul processo a Capitol Hill.

La sensazione è che il problema riguardi proprio la componente tecnologica del social network, che non è in grado di distinguere i toni e le specificità dei contenuti. TMTG, racconta Bloomberg, non ha dato dettagli sulle modalità di moderazione dei contenuti; ha solo specificato che il social network si affida a Hive, una piattaforma di verifica dei post basata sull’intelligenza artificiale. La stessa, per capirci, utilizzata da NGL, l’app per inviare messaggi anonimi su Instagram, che nel nostro test aveva mostrato l’incapacità di individuare oscenità e bodyshaming.

 

I problemi finanziari

Questo scenario contribuisce all’ultima delle questioni che Donald Trump e TMTG sono chiamati a risolvere. Per innestare liquidità e garantire la gestione economica e finanziaria dell’azienda, che al momento non genera alcun ricavo, TMTG dovrebbe essere acquisita da Digital World Acquisition, una SPAC, un veicolo di investimento, ovvero una società creata al solo scopo di acquisire un’altra compagnia per poi quotarla in Borsa.

Il punto è che questo accordo non viene chiuso: il 10 ottobre, per la terza volta, il voto degli investitori sull’acquisizione è stato rimandato. A influire, secondo la ricostruzione di Axios, le sorti incerte del social network e un’investigazione che la SEC sta portando avanti su una serie di comunicazioni improprie tra TMTG e Digital World.