Qualcosa sta cambiando nella valutazione delle startup. L'idea che siano gli unicorni, le società valutate dagli investitori almeno un miliardo di dollari, l'ideale regolativo che certifica il successo di un'impresa innovativa sta lasciando gradualmente il posto a una prospettiva più concreta, più basata sul reale fatturato delle aziende che sulla valutazione fatta dai venture capitalist.
Un cambio improvviso, ma reso urgente dalla crisi dell'economia globale scatenata da guerra, inflazione e nuova politica monetaria delle banche centrali. Per l'Italia, una notizia inattesa: le sue startup da tutto questo potrebbero beneficiarne.
L'età delle startup centauro: cosa sono, e cosa cambia
Techcrunch, tra i più attenti siti al mondo alle dinamiche del business dell'innovazione, a fine maggio ha pubblicato un articolo. "L'era del centauro". Nel bestiario delle startup, sempre foriero di nuove definizioni per etichettare i vari segmenti di aziende e di mercato, il centauro è una società in grado di avere ricavi ricorrenti da 100 milioni l'anno.
E sarebbe questo il nuovo zenit che muoverà le intenzioni degli investitori. Non più società che promettono ritorni enormi in base alle valutazioni fatte dagli stessi venture capitalist, ma società che fatturano. Molto. E senza bruciare cassa.

Al di là di definizioni e etichette, che spesso lasciano il tempo che trovano, lo scenario potrebbe cambiare rapidamente. Se una startup sarà valutata non più in base alla serie di round di investimento ottenuti, ma in base alla capacità di stare in piedi grazie al proprio giro d'affari, le cenerentole della digital economy europea, come l'Italia, potrebbero avere un'occasione per mettere in mostra l'unico valore su cui possono puntare: il mercato conquistato finora dalle proprie startup, anche se piccolo, ma solido. Anche non hanno avuto enormi round di investimento da grossi venture capitalist, ma si sono posizionate bene sul proprio settore di riferimento.
Questo, sostengono i venture capitalist italiani, farebbe in modo che proprio il fatto di avere al momento valutazioni inferiori rispetto alle proprie concorrenti a livello europeo, le nostre startup potrebbero diventare un buon affare per gli investitori e avviare un ciclo positivo per tutto il Paese.
Dettori (Primo Ventures): "Per l'Italia è una grande opportunità"
"Questo cambio di approccio testimonia che, almeno sul mercato americano, sta tramontando l'idea che la valutazione di una startup sia solamente legata al suo posizionamento ottenuto dopo un investimento di venture capital. Per noi in Italia è la più grossa opportunità per recuperare il gap che abbiamo accumulato negli ultimi vent'anni". A parlare è Gianluca Dettori, presidente di Primo Ventures sgr, società di venture capital, e presidente di Italian Tech Alliance, associazione di categoria del venture capital italiano. Perché però l'Italia potrebbe beneficiarne?
"Il motivo è semplice. Finora il mercato e gli investitori guardavano alle società che avevano multipli di crescita importanti per mettere i loro soldi. Questo ha fatto in modo che queste società, in mercati con un venture capital più sviluppato, raccogliessero cifre enormi, con valutazioni a multipli di 20-30 volte i ricavi".

L'impatto della crisi, perché l'Italia potrebbe beneficiarne?
Poi però arriva la crisi: economica, di liquidità, e cambia tutto. Il mercato soffre, i soldi cominciano a finire e gli investitori non sono più così propensi a mettere nuovi soldi per tenere in piedi queste società.
"Queste società oggi vedono ridursi i propri multipli, anche del 50-70% in alcuni settori, anche a causa della correzione del Nasdaq che ha trascinato verso il basso le valutazioni del settore tecnologico. E se bruciano cassa diventa difficile a questo punto rifinanziare le società quando sarà necessario se non a valori notevolmente ridotti", ragiona Dettori. Un esempio? Forse il più clamoroso è la tedesca Gorillas, colosso delle spese a domicilio che qualche settimana fa ha annunciato il licenziamento in tronco di 300 persone. A ottobre 2021 ha raccolto un miliardo in venture capital, per una valutazione complessiva arrivata a tre miliardi. Così come il principale competitor, la startup turca Getir, ha annunciato che licenzierà il 14 per cento dei suoi dipendenti, circa 500 persone. "Ma se perdi milioni ogni mese, e poi si aggiunge la crisi, e gli investitori non sono più disposti a metterne altri, se non a condizioni molto diverse, la cosa diventa un problema".
Un problema che l'Italia può schivare, proprio per non aver avuto finora un mercato degli investimenti in capitale di rischio così sviluppato da consentire alle startup round di investimento multi milionari. Cosa però che non ha impedito alle azienda nate qui di consolidare un business. Ancora, di fatturare.

Per le startup, un cambiamento già in atto
E fatturare è quello che chiede ora il mercato degli investimenti. "Paradossalmente questa situazione potrebbe andare anche a vantaggio dell’ecosistema delle startup Italiane. Non avendo beneficiato di questi multipli oggi rende l’Italia particolarmente attrattiva per investitori esteri. Non è uno scenario futuro, sta già accadendo. Molti stanno già venendo in Italia ad investire: qui ci sono opportunità, prezzi buoni, scelte più solide sul business e valutazioni in linea con il mood del mercato di oggi", aggiunge Dettori.
Il termine unicorno, società che vale almeno un miliardo di dollari, è stato creato dieci anni fa circa. Fu proprio Techcrunch a lanciarlo tra i primi. Allora se ne contavano 14. Quattordici startup che avevano raggiunto quella valutazione. Oggi ce ne sono mille. Si calcola che nel 2021 ne siano nate una ogni giorno e mezzo. Ma è chiaro che spesso si tratta di valutazioni esagerate, fatte per attrarre altri soldi dagli investitori, gonfiare il valore e sperare in un futuro senza grossi contraccolpi. Alcuni chiamano questo meccanismo, creazione della bolla. Ma della bolla non ci si accorge fino a quando, cause congiunturali dei cicli recessivi (guerre, inflazione, politica monetaria, insomma quello che stiamo vivendo oggi) non diventano un ago. O un paio di occhiali che aggiustino la vista miope di alcuni.
"L’importante è che non succeda quello che è successo nel 2000 con la bolla dot com. E' vero che allora dalle ceneri di quella crisi nacquero i nuovi colossi della digital economy globale, questo è il momento di spingere e se abbiamo anche un po' di fortuna, è il nostro momento". Le startup italiane, finora ancora bimbi tra i grandi europei, potranno forse sperare di crescere e di recuperare il gap che ancora le separa dalle altre.