In questi due anni concetti come “smart working”, “lavoro agile”, “lavorare da ovunque” sono diventati ormai di uso comune ma più o meno con l’arrivo dei primi computer portatili è nata anche l’immagine del classico uomo d’affari che lavora un po’ in spiaggia, magari su un’isoletta sperduta, tra un cocktail e un tuffo in mare. Per capire se si può lavorare veramente su un’isoletta sperduta, a patto di avere la connessione Lenovo qualche mese fa ha attivato un progetto mondiale chiamato Work for Humankind, a cui hanno partecipato anche due italiani: Simone Canova e Marcello Ascani. Il primo è un digital copywriter, il secondo è un content creator specializzato nei viaggi e fondatore di un’agenzia che si occupa anche di gestire proprio gli influencer, tiktoker eccetera. Dunque, due persone esperte nella comunicazione e abituate a lavorare ovunque ci sia una connessione e un tavolino dove appoggiare un portatile.


L’obiettivo di Work for Humankind non era solo quello di testare le capacità dei prodotti Lenovo per lo smart working anche più remoto, con una connessione fornita da Starlink, e potenziare tutto il profilo tecnologico dell’isola sul lungo termine ma anche creare un altro tipo di connessione: quella fra le competenze di persone come Simone e Marcello e gli abitanti dell’isola, aiutandoli a creare gli strumenti giusto per comunicare meglio il loro lavoro, le loro attività culturali e artistiche e ampliando la rete sociale.
Lavoro ibrido, però con armonia
“Prima di partire mi ero informato poco sull’isola, mi aspettavo un luogo povero e pensavo di fare un tipo di volontariato molto pratico, un po’ come si vede nelle foto dei volontari in Africa – spiega Marcello – invece l’aiuto che serviva là era completamente diverso. Per prima cosa mi sono dovuto ambientare, capire le dinamiche interne, e poi ho applicato le mie conoscenze su YouTube, sui social e sulle agenzie di comunicazione al loro panorama. Mi sono occupato quindi di insegnare attraverso dei workshop pubblici le dinamiche dei vari social perché per molte persone era il primo impatto con certe realtà”.
“Il mio lavoro è proseguito su quello di Marcello - spiega Simone – nel mio caso, ad esempio, ho aiutato un artista dell’isola, Raimondo, a comunicare la sua arte, documentare il suo lavoro, la sua galleria d’arte, gli artisti che ospita. Poi ho incontrato un gruppo di musicisti ai quali abbiamo insegnato a promuoversi su YouTube, poi da là abbiamo scoperto molte sfaccettature locali assai complesse. Pur essendo una zona tutto sommato benestante hanno dei problemi amministrativi legati alle loro dimensioni. Dallo tsunami del 2011 ad esempio non hanno ricevuto ancora i fondi per ricostruire alcune strutture, tra cui una scuola, quindi hanno dovuto imparare a parlare meglio dei progetti e anche a fare comunicazione politica e dell’attivismo. Vorrebbero infatti guadagnare lo status di tribù, che è un po’ come uno statuto speciale, per accedere a dei fondi necessari per le nuove strutture. Quindi ci siamo anche occupati di formarli sul piano comunicativo dell’intera isola, sviluppando da zero il loro sito web”.
Vivere su un’isola di questo tipo ovviamente comporta una serie di compromessi e adattamenti, sia nei ritmi, ma anche nel gestire tutto ciò che esterno all’isola, tipo i lavori che attendono in Italia, in una situazione in cui la connessione c’è, ma non è onnipresente. “Ogni volta fissavi un appuntamento e puntualmente tutto iniziava con almeno mezz’ora di ritardo - dice Marcello ridendo - quindi magari tu sbrighi le tue cose per essere puntuale e poi stai ad aspettare per chissà quanto con al massimo Whatsapp funzionante, ma l’isola è così. Forse per me questo è stato il più grosso shock culturale, modularmi sui ritmi locali, anche perché tutto sommato per quanto riguarda lo smart working con l’Italia in alcuni momenti dell’anno sono quattro ore di fuso orario. Un altro aspetto per noi impensabile è che il loro rapporto con l'ambiente è diretto, non fanno le cose perché è giusto, le fanno perché contano esattamente quante aragoste ci sono e quante piante muoiono se non le curano e questo crea un grande senso di appartenenza”.
Per Marcello, invece, “finché c’è una connessione potente ti cambia giusto il panorama, te ne accorgi solo quando torni a casa o vai a fare un’escursione. A quel punto sei tagliato fuori del tutto e onestamente, per noi che siamo abituati al collegamento continuo, essere costretti a un po’ di stacco, pur sapendo che tornerai e quindi potendo organizzarsi, è una bella cosa. Io l’ho vissuta bene. Una cosa che mi porto via dall’isola è proprio questa idea che forse siamo troppo abituati a scambiare lo smart working per la reperibilità continua. Tutti siamo sempre disponibili e anche chi lavora con te si adatta a questa condizione, quando invece bisognerebbe organizzarsi per lavorare quelle ore, da tutti i posti del mondo e ovviamente cercando di aggiustarsi se c’è bisogno di un confronto ma quelle ore là e poi fare altro. Il ritmo rilassato dell’isola ti portava a gestire le cose con calma, anche perché sennò impazzivi e invece l’obiettivo è stare meglio, non peggio”.
Per saperne di più sull’esperienza di Simone Canova e Marcello Ascani vi invitiamo lunedì 23 maggio allo Spazio Lenovo di Milano in Corso Giacomo Matteotti 10, dove continueremo questa chiacchierata sul progetto Work for Humankind.