Nelle prossime ore, aprire la app di Spotify potrebbe riservare una sorpresa spiacevole per i fan di Neil Young: tutto il catalogo del cantautore canadese è stato (o sarà presto) completamente rimosso dalla principale piattaforma di streaming al mondo.
Si tratta di una richiesta dallo stesso autore di Heart of Gold, di concerto con Warner, la sua casa discografica: qualche giorno fa, Neil Young aveva inviato una lettera a Spotify chiedendo la rimozione di The Joe Rogan Experience, uno dei podcast più ascoltati al mondo, accusato da più parti di fare disinformazione sui vaccini. “O me o Rogan”, aveva scritto il cantautore canadese. E alla fine la piattaforma svedese ha evidentemente scelto l’ex youtuber statunitense.
Joe Rogan (chi è?), attore e comico americano, ha firmato con Spotify un accordo per l’esclusiva del suo podcast nel 2020. Si parla di un contratto da 100 milioni di dollari, anche se le cifre non sono mai state confermate ufficialmente. All’interno del programma ha da sempre avuto un atteggiamento quantomeno ambivalente nei confronti della pandemia da Covid-19 e dei vaccini.
Il problema di Spotify con le fake news
Nonostante le polemiche, Spotify aveva già più volte difeso la scelta di ospitare e produrre il podcast di Joe Rogan: “Vogliamo che i creator creino – aveva detto il Ceo, Daniel Ek al Financial Times - È quello che fanno meglio. Non vogliamo avere un ruolo in quello che dovrebbero o non dovrebbero dire”.
Tuttavia, all’inizio dello scorso anno, la piattaforma svedese aveva rimosso il podcast di Pete Evans, anche in quel caso per l’accusa di diffondere disinformazione sui vaccini anti-Covid: “Spotify – aveva detto l’azienda in quell’occasione - vieta i contenuti che promuovono informazioni pericolose, false, ingannevoli o fuorvianti sul coronavirus, che potrebbero causare danni offline e/o rappresentare una minaccia diretta per la salute pubblica. Quando viene identificato un contenuto che vìola questo standard, viene rimosso dalla piattaforma”.
Insomma, la sensazione è che Spotify non abbia una vera e propria politica per la moderazione dei contenuti. Perché, in realtà, non ne ha mai avuto bisogno, prima di lanciarsi nella produzione e pubblicazione di podcast. Fra 2019 e 2020, l’azienda ha investito oltre 600 milioni di dollari nella sola acquisizione di piattaforme dedicate e di programmi radiofonici online. Un investimento che ha avuto risultati importanti: nel 2021 il numero di persone che ascolta podcast è quasi raddoppiato nel mondo (+85%).
L’esplosione del numero dei contenuti ha posto però nuove sfide: in primo luogo, sulla capacità di gestire e moderare contenuti vocali, operazione per la quale è molto più difficile fare affidamento su intelligenze artificiali (usate da più o meno tutti i social). E poi, sul confine labile che esiste tra produttore di un determinato show (è il caso di Rogan) e semplice piattaforma che ospita un contenuto. E in effetti, l’impressione è che si proceda caso per caso.
In questo senso, l’eccezione riservata a Rogan potrebbe rappresentare un problema molto serio per la piattaforma: secondo il giornalista americano Casey Newton, un gruppo di altri artisti sarebbe pronto ad abbandonare l’applicazione nelle prossime settimane, sulla scia di Neil Young. Ed è possibile che l’approccio e la strategia di Spotify cambino, anche in relazione alla loro importanza e al pubblico che muovono.