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L’Internet della spazzatura: ogni giorno 78 milioni di batterie finiscono nei rifiuti

L’Internet della spazzatura: ogni giorno 78 milioni di batterie finiscono nei rifiuti
I ricercatori europei di EnAbles sono impegnati a risolvere le criticità allungando il tempo di vita degli accumulatori e riducendo il consumo di energia dei dispositivi
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Ogni giorno, e almeno fino al 2025, si getteranno nei rifiuti 78 milioni di batterie che alimentano i dispositivi della cosiddetta Internet delle Cose, se non verrà aumentata la loro durata. Il dato emerge dalla ricerca di EnAbles, un progetto finanziato dall’Unione europea e coordinato dal Tyndall National Institute, cui partecipano anche il Politecnico di Torino, l'Università di Perugia e quella di Bologna. Quello dell'allungamento del tempo di vita delle batterie è un problema cruciale che i ricercatori di vari Paesi sono impegnati ad affrontare per evitare effetti nocivi su economia e ambiente.

Miliardi di dispositivi IoT
La colpa è anche della crescita inarrestabile dei dispositivi IoT: si calcola che nel 2025 saranno quasi 1 trilione gli oggetti connessi a Internet in tutto il mondo, fra contatori e telecamere intelligenti, smartphone e automobili connesse, così come frigoriferi, luci, altoparlanti intelligenti, treni, lenti a contatto, apparecchi e gadget indossabili per monitorare la salute e tracker per animali domestici rientrano tutti in un ambito IoT, settore che va sempre più interessando nuove aree, dall'agricoltura all'industria, dalla medicina al commercio al dettaglio.

Vantaggi e criticità
L'avvento dell’Internet of Things comporta benefici nella raccolta di informazioni utili (per esempio) nella lotta all'emergenza climatica o in campo sanitario. Al tempo stesso, implica però problematiche e criticità non indifferenti, come il divario che intercorre tra la durata media dei dispositivi IoT (circa 10 anni) e quella delle batterie che li alimentano, in genere esaurite in meno di due anni. Come evidenziano i ricercatori di EnAbles, questa differenza determina significativi svantaggi in termini economici e ambientali.

Con la tecnologia attuale, per garantire il funzionamento di un dispositivo IoT nel tempo è necessario sostituire più volte la batteria: bisogna produrne di più, e produrne di più vuol dire generare più rifiuti. Inoltre, al momento solo meno del 40% delle batterie utilizzate da questi oggetti viene riciclato correttamente.

Oltretutto, il fatto di non avere batterie in grado di alimentare un oggetto connesso per tutto l'arco della sua vita impedisce di sfruttare pienamente il potenziale delle applicazioni dell’Internet delle Cose: basta citare il caso dei dispositivi medici impiantabili, come pacemaker e pompe per il rilascio dell'insulina, per cui la ripetuta sostituzione delle batterie è operazione sconsigliabile.

L'infrastruttura IoT va anche resa più sostenibile, magari con l'ausilio di energia verde. Ed è più facile di quello che si potrebbe pensare: secondo Mike Hayes, coordinatore di EnAbles, con un “pannello solare grande la metà di una carta di credito si potrebbe alimentare indefinitamente un sensore di temperatura e umidità in un ufficio”.

Una rete di eccellenza IoT europea
Il compito dei ricercatori europei, in questo quadro, è riuscire a fornire soluzioni per incrementare la durata delle batterie oltre il tempo di vita degli oggetti IoT, riducendo contemporaneamente al minimo il loro consumo energetico.

Come spiega Claudio Gerbaldi, docente di Chimica e responsabile di EnAbles per l'unità di ricerca del Politecnico di Torino, “l'idea è quella di realizzare una rete infrastrutturale europea in modo da dare accesso gratuito a simulazioni, dati, attrezzature e studi. Consentendo ai soggetti interessati come le aziende di avere a disposizione risorse e strutture, messe in comune, per portare avanti attività di ricerca e innovazione”.

I partner di EnAbles, che in totale sono 11, costituiscono un network di eccellenza, ciascuno con un suo ambito di specializzazione: quello del Politecnico è relativo alla ricerca di materiali innovativi per batterie di nuova generazione allo stato solido. Una tecnologia su cui punta con forza l'Unione europea, come ha ricordato Gerbaldi. Con l'obiettivo di ottenere maggiore durata, più sicurezza e sostenibilità delle batterie, dal momento che si utilizzerebbero sostanze meno tossiche e infiammabili.

Aldo Romani, docente di Elettronica dell'Università di Bologna, parte della rete Enables, lavora invece alla progettazione di circuiti micro-elettronici per migliorare la raccolta dell'energia dall'ambiente (da luce, calore e vibrazioni) e convertirla in elettricità. Le applicazioni di questa ricerca potrebbero essere sfruttate per dispositivi indossabili ricaricabili con il movimento o su sensori per anziani e anche per ilmonitoraggio della sicurezza dei ponti.

EnAbles ha messo in piedi un importante ecosistema che coinvolge 500 stakeholder di 38 differenti Paesi e oltre 130 esperti (pdf) e ha già ricevuto 100 richieste di aiuto da soggetti esterni. Nell'ambito del progetto, che si prevede possa prolungarsi oltre la scadenza stabilita a fine anno, sono stati organizzati webinar, scuole estive, workshop e seminari tecnici: “Bisogna rivoluzionare il modo in cui progettiamo, produciamo, usiamo e smaltiamo gli oggetti”, ha osservato ancora Hayes, per il quale la sostenibilità dell’IoT “dev’essere raggiunta in maniera collaborativa e intrecciando le discipline” per essere davvero effettiva.