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Il 'padre' del Web Summit: "Vi racconto perché la mia Irlanda sbaglia tutto con i big della Rete"

Il Web Summit 2016
Il Web Summit 2016 
Paddy Cosgrave è l'ideatore di un ciclo di conferenze fra i importanti in fatto di tecnologia. Un appuntamento da 60 mila persone, con più di mille ospiti, oltre 1500 startup da più di 150 Paesi. E fra le personalità di spicco quest’anno ci saranno Al Gore, il presidente di Microsoft Brad Smith, il cofondatore di Facebook Dustin Moskovitz e Margrethe Vestager, commissaria per la concorrenza alla Commissione Juncker. In attesa della sua apertura il 6 novembre, abbiamo parlato con il suo organizzatore delle sfide che l'Europa deve affrontare
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ROMA - Un metro e novantadue centimetri, capelli rossi, e un accento inconfondibile. Paddy Cosgrave, 34 anni, non potrebbe nascondere le sue origini irlandesi nemmeno volendo. C’è lui dietro il Web Summit, ciclo di conferenze fra i più importanti in Europa in fatto di tecnologia. Due anni fa, da Dublino si è spostata a Lisbona ed è cresciuta nei numeri e nell’importanza in maniera esponenziale. Tutto è iniziato nel 2009, in un hotel di Dublino con un pubblico di 150 persone. Otto anni dopo si è arrivati ad un appuntamento che avrà 60 mila persone, con più di mille ospiti, oltre mille e cinquecento startup da più di 150 Paesi. E fra le personalità di spicco quest’anno ci saranno fra gli altri Al Gore, il presidente di Microsoft Brad Smith, il cofondatore di Facebook Dustin Moskovitz e Margrethe Vestager, commissaria per la concorrenza alla Commissione Juncker. In attesa della sua apertura, il 6 novembre a Lisbona, abbiamo parlato con Cosgrave

Cosa è cambiato in Europa dal 2009?
"Dal 2009 fino al 2011 quando si parlava di tecnologia si parlava di Silicon Valley. Tutto veniva da lì. Ma poi le cose hanno cominciato a mutare. Adesso i capitali investiti nelle startup non finiscono solo in California. In qualche maniera la Silicon Valley è divenuta un fenomeno globale e non più geografico".  
Paddy Cosgrave, la mente del Web Summit
Paddy Cosgrave, la mente del Web Summit  
Eppure tutto il traffico dati, o buona parte di esso, grazie alla rivoluzione degli smartphone è adesso nelle mani di poche multinazionali come Google, Facebook, Apple. E sono tutte della Silicon Valley.
"Si, questo è vero. Non ha caso sul tavolo delle questioni più rilevanti c’è quella che riguarda le regole del gioco. Si tratta di capire sul piano politico, economico e etico, come vogliamo organizzare la nostra società. Dobbiamo domandarci se questa concentrazione sia una cosa buona per i consumatori e per l’innovazione. Non a caso il Web Summit lo scorso anno, per la prima volta, ha invitato dei politici europei".
 
E qual è la sua posizione?
"Il Web Summit riflette tutte le anime dell’innovazione e tutte le posizioni. La tecnologia ormai riguarda chiunque, dal parlamentare europeo, alla startup, alla grande multinazionale dell’automobile, fino alle personalità dello sport o della moda. Ma la mia posizione personale è che sia essenziale avere un ambiente e una società dove le idee possano competere liberamente. I monopoli li abbiamo combattuti con successo in passato così come la concentrazione di potere. Poco importa se politico, religioso o commerciale. Ho fiducia, ma certo dobbiamo fare qualcosa”.

Per competere servono regole uguali per tutti. Cosa pensa della web tax e della politica fiscale del suo Paese, messa sotto accusa dall’Unione europea perché premetterebbe ai colossi del Web di eludere le tasse?
“Penso che sia una politica che presto finirà e la cosa peggiore è che l’Irlanda non ha un piano B. Come la maledizione del petrolio che ha contagiato diversi Paesi in Africa e in Medio Oriente, il governo irlandese ha fallito nel diversificare l’economia. Siamo completamente dipendenti dalle multinazionali. Ma le voglio raccontare una storia: alla fine del XVII secolo l’Irlanda fu uno dei primi veri paradisi fiscali. E divenne molto ricco anche se non aveva nessuna vera industria. Ma pochi decenni dopo il sistema venne bloccato dal primo ministro inglese William Pitt. Il paese fu poi colpito dalla Grande carestia che ne dimezzò la popolazione. Un secolo e mezzo dopo il governo irlandese ha adottato una misura di quel genere facendo diventare una parte della nazione molto ricca. Ma è una crescita senza futuro perché non ha una vera base, come quella del XVII secolo. E’ incredibile: non abbiamo imparato nulla. L’Irlanda ha la pretesa di gestire una questione che riguarda centinaia di milioni di europei solo per il tornaconto personale. Molto naïve”.
 
Qual è la sua mappa mentale dell’Europa in fatto di capacità di innovare?
“La Scandinavia fa impressione considerando che si tratta di Paesi piccoli. Ma Germania, Francia e Italia hanno una tradizione industriale molto più consolidata. E spesso si dimentica che le grandi compagnie possono essere molto innovative. L’ingegneria italiana è ai vertici ad esempio. E non va dimenticato che la presenza europea fra le cento o duecento migliori università al mondo è forte. Di nuovo: io ho fiducia. L’Europa può competere e può farlo ai massimi livelli”.