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TvB, money in the Banks: «Ho aiutato a scrivere la storia di questo club»

Intervista al bomber di Memphis, dal gesto della pistola alle missioni “segrete”. «I capelli? Non li taglio dalle nozze. Le schiacciate? Ho cambiato il mio gioco»

Ubaldo Saini
3 minuti di lettura

Adrian Banks, uomo simbolo della Tvb

 

Adrian Banks è un vero personaggio. Della sua vita si sa già molto: gli piace raccontarsi, risponde a tutte le domande, anche a quelle più scomode, ed è adorabile con i fans. Trentasette anni, sposato con Rachel, ha quattro figli e il suo istinto paterno si vede nella dolcezza con la quale approccia proprio i più piccoli.

E allora, per cominciare la chiacchierata, parliamo dei suoi record di franchigia in maglia Nutribullet, club che ha trascinato alla salvezza prima di passare, proprio negli ultimi giorni, alla Fortitudo per concludere la stagione.

Nella domenica più importante della stagione, quella della vittoria contro la Virtus, ha eguagliato il record di falli subiti (11), mentre già detiene quello di tiri liberi realizzati in una partita (11) e tentati (12, assieme a Iroegbu).

Sorpreso? «Lusingato, direi. Sono sempre stato un giocatore che si procura tanti falli e, di conseguenza, tira molti liberi. Ma non sono uno di quelli che vive per le cifre, anche se mi fa piacere sapere di aver dato un piccolo contributo per scrivere la storia di questo club».

E pensare che nel 2011 ha anche vinto la gara delle schiacciate in Israele, mentre quest’anno non ne ha fatta nemmeno una. Com’è cambiato il suo gioco negli anni?

«In verità in allenamento ogni tanto le faccio (ride, ndr), ma devo andarci piano con le ginocchia. Fa parte della mia evoluzione, come giocatore e come persona. Da giovane ero quasi esclusivamente uno che attaccava il ferro, praticamente non tiravo mai da fuori. Poi il gioco è cambiato, e ho dovuto lavorare per mettere su un tiro da fuori rispettabile. Diciamo che il Banks di 10 anni fa non avrebbe mai preso i tiri del Banks di adesso».

È vero che ha giocato gli ultimi tre mesi con un ginocchio parzialmente infortunato?

«È assolutamente vero. Ho avuto un po’ di problemi al ginocchio sinistro e devo ringraziare tutto lo staff medico di TvB, in modo particolare Riccardo Pietrobon, per essersi preso cura di me. La società mi ha sempre dato massima libertà di scelta, e avrebbe pienamente appoggiato la decisione di fermarmi per qualche settimana. Però ero sicuro di potercela fare, e non volevo lasciare la squadra senza un leader. Così ho stretto i denti, e li stringo tuttora, spinto dall’amore per questo sport».

A trentasette anni lei sembra essere come il vino: invecchiando migliora.

«Grazie, è un bel complimento. Cerco di dare sempre il massimo ogni giorno, per me non avrebbe senso fare un buon allenamento e poi presentarmi il giorno dopo in maniera svogliata. Sono consapevole che devo essere un esempio positivo per chi mi segue e cerco di essere un leader».

Ci dica una cosa che non ha ancora raccontato in un’intervista.

«C’è una cosa che posso rivelare: nel 2016 ho seriamente pensato di smettere di giocare a basket. Era un periodo di grandi cambiamenti, finita la stagione con Brindisi sono tornato in Israele, dove mi sono sposato con mia moglie, e c’era questa idea di smettere. Lei mi ha detto di pensarci su e di prendere tempo perché avrei potuto pentirmi di quella decisione. Per fortuna ho continuato».

Un altro cambiamento che la riguarda è arrivato proprio nel 2016.

«I capelli. Questa è una cosa strana in effetti. Pensare che da giovane li ho sempre portati corti, addirittura rasati. Mio padre li voleva così, in stile militare. Ma a me era sempre piaciuta l’idea dei capelli lunghi, e così quando mi sono sposato ho deciso di farmeli crescere, e da allora non li ho più tagliati».

C’è una cosa che ha fatto e che, tornando indietro non rifarebbe?

«Una sì. Quando ero più giovane, nel 2007, in una sera di inizio dicembre ero fuori a far serata con dei compagni di college. C’è stata una disputa tra ragazzi, poi ce ne siamo andati e ad un certo punto, mentre tornavamo a casa, ho svuotato il caricatore di una pistola, sparando per aria. L’ho fatto per evitare che qualcuno si facesse male, ma la polizia ha fermato l’auto. Mi sono vergognato tantissimo, per la mia famiglia e per la squadra di basket dove giocavo. Mi hanno giustamente sospeso per un mese, e lì ho capito che se volevo diventare un giocatore di basket professionista dovevo smetterla con le cazzate».

Per fortuna non solo ha messo la testa a posto, ma ha anche realizzato caterve di punti in Italia. È l’unico giocatore in attività ad aver superato quota 4.000 punti. Dovesse scegliere un canestro da ricordare, quale sarebbe?

«Una schiacciata che ho fatto con la maglia di Brindisi. Ricordo di essermi appeso al ferro e di aver mostrato i muscoli quando sono sceso a terra. Una sensazione indescrivibile. Dovessi invece scegliere una partita, quella dei 37 punti nel 2019, giocavo sempre a Brindisi».

Cosa ci può dire sui suoi soprannomi “Money in the Banks” e “The Sekret Ajent”?

«Money in the Banks è il mio marchio di fabbrica, è come mettere i soldi in banca sapendo di ottenere un ottimo rendimento. “The Sekret Ajent” è nato col tempo, in ogni stagione comincio una nuova missione e mi sento come un agente speciale in missione. Ci avevo anche fatto una linea di abbigliamento, in fondo bisogna sempre inventarsi cose nuove e sapersi adattare ai cambiamenti».

E poi c’è il gesto del pistolero dopo ogni tripla.

«È nato qualche anno fa quando giocavo a Bologna. Segnai una tripla, e mi venne spontaneo fare il gesto del pistolero. Ma non sapevo come avrebbero reagito gli arbitri, mi ricordo che subito dopo aver mimato il segno della pistola li guardai, temendo che mi affibbiassero un tecnico. Effettivamente il loro sguardo non era dei più amichevoli, però non fecero alcun fischio e così dopo ogni tripla ripeto quel gesto, che ormai è diventato una piacevole consuetudine».

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