Sacha è risorto e adesso tira le volate per gli altri
Modolo, il velocista di San Vendemiano, ha riassaporato il gusto della vittoria in Lussemburgo: «Ho avuto paura di dover smettere»
Mattia ToffolettoSAN VENDEMIANO
Un calvario lungo 43 mesi, fra il successo alla Vuelta Andalucia del febbraio 2018 e l’acuto nella terza tappa del Giro del Lussemburgo di giovedì scorso. Sacha Modolo, 34enne di San Vendemiano, professionista dal 2010, 48 centri da pro’, racconta la sua resurrezione. Le lacrime per l’incubo finito.
Modolo, cosa ha pensato, quando ha capito di aver vinto? «Mi sono ricordato dei mille dubbi che mi hanno assillato per tre anni e mezzo. Di quando pensavo di smettere e mia moglie, Valentina, insisteva che ce l’avrei fatta, che un giorno sarei tornato alla vittoria. Di quando quest’anno guardavo il Giro da casa e ogni tappa era per me un’agonia. No, non credevo di poter tornare a vincere. La dedica è per mia moglie, che in questi lunghi mesi mi ha supportato e sopportato».
Che significa non vincere per un velocista abituato a raccogliere affermazioni in serie fin da ragazzino? «Un conto è non vincere, perché non hai le gambe e allora ti puoi mettere pure il cuore in pace. Un altro è ritrovarti frenato da troppi problemi, sempre diversi. Così è frustrante, mentalmente t’ammazza. Sei sempre costretto a inseguire».
I guai erano iniziati con i disturbi alimentari legati a cinque "funghi" nello stomaco e nell’intestino. Ma, già due anni fa, Giuliano Poser, il nutrizionista di Messi, le aveva trovato la soluzione. Poi cos’è successo? «Proprio quando mi stavo riprendendo, ho fatto i conti con una stagione, la scorsa, totalmente stravolta dall’emergenza Covid. Poi, lo scorso dicembre, s’è aggiunta la sindrome della bandelletta ileo-tibiale. Un’infiammazione dolorosa. Che necessita di tempo, non si cura dall’oggi al domani. È capitato che, il giorno dopo un allenamento, non riuscissi manco a salire le scale. È capitato che, durante un allenamento, abbia dovuto chiamare mia moglie, perché non ce la facevo più ad andare avanti».
Quando è iniziato il suo 2021? «Tardi. In aprile ero al Turchia, ma alla quarta tappa mi sono ritirato. Poi, a fine giugno, ho corso l’Italiano, ma giusto per fare presenza. Ho ripreso seriamente a fine luglio, al Vallonia».
Quando ha capito di poter tornare "corridore"? «Alla Vuelta, tirando le volate a Philipsen. Che peraltro ne ha vinte un paio. Lì ho capito, che almeno avrei potuto ritagliarmi uno spazio nuovo. Aiutando gli altri velocisti a vincere. A 34 anni, ci può stare. Ero già contento, poi è arrivato pure il successo in Lussemburgo. Ripeto, non ci credevo proprio».
Programmi, adesso? «Ancora quattro corse, tutte in Francia e come apripista per Philipsen. Parigi-Tours inclusa».
Il prossimo anno? «Non so ancora. A me piacerebbe rimanere all’Alpecin, ma mi rendo conto che in due anni ho raccolto solo una vittoria. Tirare le volate agli altri, però, potrebbe aprirmi nuove prospettive».
Curiosità: non è sfuggito l’abbraccio fra lei e Andrea Vendrame dopo l'urrà in Lussemburgo. «All’ultimo chilometro mi ha urlato “vai, Saka”. Ed è stato il primo a congratularsi dopo l’arrivo. Siamo buoni amici, mi è stato molto vicino nell’ultimo anno». —
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