Elezioni anticipate: ecco tutti i dossier che il Veneto rischia di perdere
Dall’autonomia alle Olimpiadi invernali 2026 di Milano e Cortina, dal Pnrr alla partita Grandi Navi, il rischio è perlomeno quello di un forte rallentamento delle procedure
Filippo Tosatto
Zaia con Draghi a Canazei, dopo la tragedia della Marmolada
(ansa)VENEZIA. E adesso, pover’uomo? In bella vista, sulla scrivania di Luca Zaia al piano nobile di Palazzo Balbi, spiccano i dossier che scandiscono le priorità del Veneto prossimo venturo: autonomia e Giochi invernali 2026, autostrada Pedemontana e rifinanziamento delle infrastrutture, ristori alla sanità e indennizzi sul versante grandi navi, fino all’attuazione del Pnnr inclusivo del progetto-bandiera di Venezia capitale mondiale della sostenibilità. Tappe cruciali che esigono interlocuzione istituzionale e piena operatività dell’esecutivo, l’una e l’altra compromesse dalla caduta del governo Draghi.
Si comprende allora perché, in queste ore, il presidente della Regione Veneto sia letteralmente inviperito. Un furore silenzioso, il suo, che l’assenza di polemiche plateali non rende meno assordante. Alfiere dichiarato dell’ala governista della Lega, sodale di Giancarlo Giorgetti e Massimiliano Fedriga, Zaia aveva pubblicamente definito “un limbo pericoloso” la prospettiva di uno scioglimento del Parlamento, auspicando una conclusione naturale della legislatura ancorata a obiettivi primari, coerenti ai bisogni di una comunità impoverita da inflazione e rincari.
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Sciolte le Camere, Zaia: saranno elezioni sanificatorie
Pie illusioni, al pari della ventilata gestione collegiale della crisi: i governatori nordisti, si apprende, non hanno avuto parte alcuna nella definizione di una linea condivisa, bellamente ignorati dal segretario Matteo Salvini e dal “cerchietto magico” che spadroneggia in via Bellerio.
Tant’è. Se Zaia prosegue, accigliato, l’incessante pellegrinaggio nella “piccola patria veneta” – oggi saltabeccherà tra Lutrano di Fontanelle, Dolo e Mira – e il ministro Giorgetti malcela il dispetto («Errore di Salvini? No, ma poteva finire in modo più dignitoso sul piano istituzionale»), l’altra campana, quella suonata dai dirigenti vicini al Capitano, offre una lettura diversa. È il caso di Alberto Stefani, giovane deputato e coordinatore del partito veneto: «La crisi, obiettivamente, è stata innescata dal M5S e favorita dalle forzature del Pd in materia di droga libera e cittadinanza facile» le sue parole «Così, a fronte di un Parlamento balcanizzato, la Lega ha chiesto non già le elezioni anticipate ma un nuovo esecutivo presieduto da Draghi e non più ostaggio delle forze irresponsabili, con un’agenda sensibile ai nostri temi: taglio delle tasse e pace fiscale, contrasto all’immigrazione selvaggia che ha triplicato gli sbarchi, autonomia regionale, sostegno a imprese e famiglie. Dal Presidente del consiglio ci attendevamo un’apertura programmatica, è arrivata invece una replica sorprendente per durezza e vis polemica, quasi una richiesta di sfiducia che ha fatto precipitare gli eventi».
Camere sciolte, campagna elettorale d’agosto, i problemi che si riacutizzano, gli occhi del mondo puntati e l’opinione pubblica inquieta… «Credo che nessuno rimpiangerà ministri quali Speranza, Di Maio e Lamorgese» ribatte Stefani «La governabilità non è fatta di poltrone, riflette la capacità di dare o meno soluzione ai problemi, in queste condizioni di paralisi credo sia stato meglio anticipare di qualche mese il voto, basta intrighi e cambi di casacca, in democrazia l’ultima parola spetta agli elettori».
Una semplice verità che sta già infiammando gli appetiti dei parlamentari uscenti e degli aspiranti candidati, costretti ad agire tra l’incudine dei sondaggi ansiogeni e il martello della sostanziosa riduzione di seggi sancita – ironia della sorte – dalla primo governo Conte a trazione gialloverde. —
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