È una lezione che (si spera) abbiamo imparato. Covid ci ha insegnato infatti che le persone con malattie croniche sono più a rischio in caso di infezioni respiratorie, sia per malattia grave che per mortalità. E sono anche quelle che più di altre possono beneficiare della vaccinazione. Avremmo dovuto impararlo già con l'influenza, di stagione in stagione, a onore del vero, perché ben prima dell'arrivo del coronavirus l'influenza era un problema di sanità pubblica. Con Covid, però, a un certo punto ci siamo ritrovati a combattere più emergenze respiratorie insieme, quando i casi di coronavirus si accompagnavano alla stagione influenzale e alla diffusione del virus respiratorio sinciziale, aumentando lo stress sui sistemi sanitari già provati. Stress in gran parte prevenibile, aderendo alle campagne e strategie vaccinali, che andrebbero però ripensate, sottolineando l'urgenza di garantire coperture adeguate soprattutto ai più fragili nella popolazione.

Le infezioni che attaccano i polmoni
A raccontare tutto questo sono stati alcuni esperti riuniti a Roma in occasione del Congresso mondiale di sanità pubblica, in una sessione dedicata proprio all'impatto che le malattie respiratorie hanno sui sistemi sanitari e all'aumento del rischio per persone con comorbidità in caso di infezione. Come ha ricordato infatti Carlos Robalo Cordeiro, presidente della European Respiratory Society (ERS), ogni anno, a livello mondiale, si stimano circa un miliardo di casi di influenza, oltre 60 milioni di infezioni da virus respiratorio sinciziale, cui si sono sommati con la pandemia 760 milioni di casi da Covid-19. Senza contare i casi di infezione di pneumococco.

Malattie respiratorie: chi rischia di più
“Il rischio associato a queste infezioni aumenta in alcune condizioni, nel caso in cui siano presenti malattie cardiovascolari, metaboliche come il diabete, o malattie respiratorie – ha spiegato Cordeiro – per esempio il rischio di polmonite pneumococcica può aumentare fino al 70% per chi già soffre di patologie polmonari croniche. Lo stesso vale per le infezioni da RSV: le persone con malattie polmonari, patologie cardiache o immunosoppresse hanno più possibilità di sviluppare i sintomi della malattia e complicazioni”. E ancora per l'influenza, ha ricordato l'esperto mostrando i dati dello studio BARI (Burden of Acute Respiratory Infections), relativi all'impatto in Portogallo negli anni passati: le persone con comorbidità sono più a rischio sia di ospedalizzazione che di morte. Una ulteriore conferma.

Obiettivo: -33% di mortalità per malattie respiratorie entro il 2030
I dati mostrati al congresso da Cordeiro servono solo a ricordare quanto i vaccini contro malattie e complicazioni prevenibili possono aiutare a sollevare il carico sui sistemi sanitari e sulla salute. Ed è anche per questo che, riconoscendo i gap che ancora esistono nel campo della salute respiratoria, portati a galla soprattutto dalla pandemia, l'European Respiratory Society ed altri enti hanno lanciato l'International Respiratory Coalition (IRC). Focalizzata per ora in ambito europeo - ha spiegato Cordeiro - la IRC si prefigge lo scopo di ridurre di un terzo le morti da malattie respiratorie entro il 2030, grazie ad attività di advocacy nelle diverse nazioni basate prima di tutto sui dati. Perché non basta dire che i vaccini possono salvare vite: serve mostrarlo e influenzare così i piani di promozione della salute a livello locale.

Coperture vaccinali ancora troppo basse
E i dati, quando i dati ci sono, mostrano che le coperture sono ancora lontano dall'essere quelle desiderabili. Come ha mostrato Jane Barratt, segretario generale per International Federation of Ageing (IFA), se le vaccinazioni Covid, almeno nei paesi occidentali, sono state un successo (almeno per le prime dosi), lo stesso non si è verificato con le vaccinazioni raccomandate da sempre alle popolazioni più fragili, come quella antinfluenzale. Ci si è vaccinati meno per l'influenza che per il Covid, almeno così è stato per diversi paesi europei.

Serve un cambio di passo
D’altra parte, prima dell'arrivo del Covid gli sforzi sono stati storicamente focalizzati sulla popolazione pediatrica, ha ricordato Barratt. “Ed è giusto, ma allo stesso modo dovremmo concentrarci sulle persone più anziani e su quelle che hanno malattie croniche”. Tanto più considerando che la nostra è una società di adulti e di anziani, che tre persone su quattro a 85 anni sono destinati ad avere malattie croniche e che i benefici delle vaccinazioni si misurano in riduzione delle visite ospedaliere, dei giorni di lavoro persi (anche dei caregiver), delle ospedalizzazioni e delle morti, ha concluso l'esperta.