In evidenza
Sezioni
Magazine
Annunci
Quotidiani GNN
Comuni
Sportello cuore

Ictus, come capire chi rischia di peggiorare (e puntare a trattamenti su misura)

Ictus, come capire chi rischia di peggiorare (e  puntare a trattamenti su misura)
All'inizio l'ischemia può dare sintomi lievi ma capita che la situazione peggiori di colpo. Studio italiano aiuta a identificare chi va monitorato con maggior attenzione in caso di "minor stroke". Per cure mirate
2 minuti di lettura

L'importante è fare presto. Sempre e comunque. Perché "time is brain", ovvero il tempo è cervello. Se si arriva prima possibile a definire le cause dell'ictus e a mettere in atto le terapie indicate caso per caso si possono ridurre i danni permanenti al sistema nervoso e i rischi per la vita. Ma a volte l'ictus inganna. E a questa regola generale, che passa attraverso la conoscenza dei segnali d'allarme della lesione, possono far seguito decorsi irregolari. Si sa ad esempio che in quasi un caso su due l'ictus dà, almeno inizialmente, sintomi solo lievi. Ma in quasi la metà dei pazienti che presentano questa situazione apparentemente tranquilla e gestibile, definita dagli esperti "minor stroke", si può poi avere un improvviso peggioramento delle condizioni del malato. Come fare per identificare chi corre i maggiori pericoli di andare incontro ad un decorso di questo tipo dopo ictus ischemico? Dalla ricerca italiana giunge una risposta. Due lavori apparsi su Journal of NeuroInterventional Surgery offrono interessanti indicazioni per prevedere in anticipo chi tende ad avere un decorso clinico imprevedibile e quindi necessita di trattamento più aggressivo, nonostante i sintomi iniziali del paziente siano solo lievi. In pratica, la ricerca aggiunge un importante tassello alle conoscenze su un tema che ancora va sviscerato completamente.

Sotto esame oltre 300 pazienti

La ricerca è stata coordinata da Aldobrando Broccolini, ricercatore in Neurologia del Dipartimento di Neuroscienze della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università Cattolica, campus di Roma e Dirigente Medico nella Stroke Unit della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs e Andrea Alexandre, docente in Neuroradiologia all'Università Cattolica e Dirigente Medico nell'Unità di Neuroradiologia Interventistica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs.  Sono stati coinvolti 16 grandi centri ospedalieri (15 italiani e 1 svizzero), coordinato dall'Unità operativa complessa di Neurologia del Gemelli, diretta da Paolo Calabresi, e dagli specialisti guidati da Alessandro Pedicelli, responsabile dall'Unità operativa semplice dipartimentale di Neuroradiologia Interventistica.  Sono stati valutati 308 pazienti con ictus ischemico acuto caratterizzato da deficit neurologico minimo, ma con un'occlusione riguardante un'arteria di grosso calibro del circolo intracranico. In questa categoria di pazienti, le attuali linee guida di trattamento dell'ictus in fase acuta non definiscono un approccio terapeutico univoco.

Quando si parla di "minor stroke"

 "Tecnicamente - spiega Broccolini - definiamo "minor stroke" un evento cerebrovascolare acuto con un punteggio minore o uguale a 5 sulla scala NIHSS, utilizzata per quantificare il livello di deterioramento clinico. In termini pratici, un paziente con ictus e sintomi minimi può presentarsi, per esempio, con una lieve emiparesi e un lieve disturbo del linguaggio ma con funzioni cognitive integre". I pazienti con minor stroke in cui viene documentata una occlusione di un grosso vaso arterioso del circolo intracranico costituiscono infine una percentuale variabile fra il 5 e 10% di tutti gli ictus. Il fatto che, pur in presenza di un'occlusione di un grosso vaso, il paziente presenti solo sintomi minimi è verosimilmente riconducibile all'attivazione di una circolazione collaterale in grado di compensare parzialmente l'occlusione del grosso vaso. "Questa tipologia di pazienti è stata oggetto del nostro studio - segnala Broccolini". In particolare sono stati considerati quei pazienti in cui l'occlusione viene documentata in un tratto più periferico dell'arteria cerebrale media. "Sebbene questo segmento dell'arteria cerebrale media sia trattabile attraverso una procedura endovascolare (la trombectomia meccanica), le attuali linee guida di trattamento dell'ictus in fase acuta sconsigliano questa procedura nei pazienti con un grado lieve di compromissione clinica".

Attenzione alla fibrillazione atriale

Occorre quindi individuare chi è più a rischio per scoprire chi, pur avendo al principio sintomi minimi, può andare incontro ad un peggioramento clinico notevole. Uno dei problemi riscontrati come potenziale elemento di pericolo è la presenza di fibrillazione atriale. Se c'è aritmia, stando allo studio, si può pensare che possano crescere le possibilità di un deterioramento clinico. Ma è solo un esempio: gli specialisti ricordano come occorra studiare caso per caso il da farsi. Per una terapia su misura. Lo ricorda, concludendo, lo stesso Broccolini. "I dati dei nostri studi suggeriscono che in questi pazienti l'approccio terapeutico più ragionevole sia quello che preveda inizialmente una gestione medica e uno stretto monitoraggio clinico e consideri il trattamento endovascolare solo in presenza di un precoce peggioramento dei sintomi. Tale condotta terapeutica, infatti, produce risultati statisticamente non differenti in termini di prognosi a lungo termine rispetto ad un approccio che preveda un trattamento endovascolare immediato".