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Tumore seno, con test genomici l’80% delle donne può evitare la chemio

Tumore seno, con test genomici l’80% delle donne può evitare la chemio
Presentati al San Antonio Breast Cancer Symposium i risultati a 12 anni sul test Oncotype che analizza 21 geni e permette di stabilire la probabilità di recidiva della malattia e la risposta alla chemioterapia. Ancora poco usati in Italia
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È riconosciuto come standard di cura ed il suo utilizzo è incluso in tutte le più importanti linee guida internazionali sul tumore del seno, eppure Oncotype DX - il test che esamina l’espressione di 21 geni selezionati su un campione di tessuto neoplastico – stenta a decollare in Italia privando così molte pazienti della possibilità di evitare la chemioterapia. Lo dimostrano studi che risalgono a più di dieci anni fa ma nuove conferme sono arrivate di recente dal San Antonio Breast Cancer Symposium, il più importante meeting mondiale sul carcinoma mammario.

 

A cosa serve il test genomico

 

Il test esamina l’espressione di 21 geni selezionati su un campione di tessuto neoplastico. “Tramite la valutazione - spiega Giuseppe Curigliano, professore di Oncologia Medica all’Università di Milano e Direttore Divisione Sviluppo di Nuovi Farmaci per Terapie Innovative all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano - possiamo stabilire quale sia la probabilità di recidiva della malattia e la risposta alla chemioterapia. Quest’ultima è un trattamento ancora molto temuto dalla maggioranza delle pazienti e si sta rafforzando il ruolo dei test genomici nel limitarne il ricorso. Somministrare la sola terapia endocrina, dopo un primo intervento chirurgico, presenta degli indubbi vantaggi clinici”. Chi prescrive questi test? “Spetta al team multidisciplinare, che ha in cura la donna, valutare il ricorso ad un esame genomico che non può essere sempre prescritto. In Italia sono oltre 10mila donne potrebbero beneficiare dei vantaggi offerti e rappresentano circa un quinto di tutti i nuovi casi di carcinoma mammario”, risponde Cognetti.

Dodici anni di valutazione

 

Il test genomico Oncotype permette sempre più di personalizzare le cure per il tumore del seno in fase iniziale. E’ in grado di identificare oltre 80% delle donne con malattia linfonodale negativa che non può ricevere un beneficio sostanziale dalla chemioterapia. Permette, inoltre, di individuare la minoranza di pazienti a cui la chemioterapia può invece salvare la vita. Al San Antonio Breast Cancer Symposium sono stati presentati i risultati aggiornati di Tailorx, il più ampio studio adiuvante randomizzato sul carcinoma mammario mai realizzato. La nuova valutazione a 12 anni conferma i risultati emersi della prima analisi. La terapia endocrina non è inferiore alla chemioterapia più terapia endocrina nelle pazienti con carcinoma mammario in fase iniziale positivo al recettore ormonale (HR), HER2-negativo e linfonodo negativo (punteggio di Recurrence Score compreso tra 11 e 25).

Rischio di recidiva sotto il 10%

 

Come nell’analisi originale, il sottogruppo di donne di età pari o inferiore a 50 anni (con risultati di Recurrence Score tra 16 e 25) ottiene dalla chemioterapia un beneficio che dura fino a 12 anni. Per quelle con risultati di Recurrence Score tra 0 e 25 gli eventi di recidiva tardiva, oltre i cinque anni, hanno superato le recidive precoci. Tuttavia, il rischio di recidiva a distanza a 12 anni resta sotto il 10%, una percentuale che indica un rischio basso. “Questo follow-up allungato a 12 anni conferma gli ottimi risultati già riscontrati nel primo studio - continua Curigliano. Attualmente Oncotype DX è riconosciuto come standard di cura ed il suo utilizzo è incluso in tutte le più importanti linee guida internazionali sul tumore del seno”.

L’indagine sulle donne con linfonodi

 

Sempre a San Antonio è stata presentata anche un’analisi di un sottogruppo di pazienti partecipanti allo studio RxPONDER. Le donne, che hanno utilizzato il test genomico, erano colpite da tumore del seno con linfonodi positivi e sensibili al sistema endocrino. Un’indagine ha dimostrato come il deterioramento cognitivo, collegato al cancro, è stato maggiore con la chemioterapia rispetto alla sola terapia endocrina. Oltre ai noti effetti collaterali della chemioterapia, tra i quali alcuni particolarmente spiacevoli come l’alopecia sia pure temporanea e la menopausa con conseguente infertilità nelle donne più giovani, ora se ne aggiunge un altro: il deterioramento cognitivo.

 

Il deterioramento cognitivo post chemioterapia

 

Quello del deterioramento cognitivo è un effetto collaterale abbastanza diffuso ma meno noto rispetto, per esempio, alla caduta dei capelli. “Si calcola che possa interessare fino al 60% delle donne in trattamento chemioterapico per un tumore della mammella”, sottolinea Francesco Cognetti, presidente della Confederazione Oncologi, Cardiologi, Ematologi (FOCE) e professore di Oncologia all'Università UniCamillus di Roma. “I deficit cognitivi sono un problema da non sottovalutare perché possono peggiorare, in modo significativo, la qualità di vita. Garantire il benessere psico-fisico di un malato, durante e dopo i trattamenti anti-cancro, è una delle priorità dell’oncologia moderna. Al tempo stesso bisogna riuscire a individualizzare i trattamenti attraverso tutti gli strumenti a nostra disposizione. La nuova analisi, condotta su RxPONDER, è un ulteriore e preziosa dimostrazione di come questi esami possano evitare terapie inutili o addirittura controproducenti, terapie che in queste pazienti con linfonodi ascellari positivi possono prevedere anche un’intensificazione dei tempi di somministrazione dei farmaci citotossici con conseguente maggiore anemia nelle pazienti trattate con questi regimi ‘dose dense’”.

 

I ritardi dell’Italia

 

Purtroppo, il nostro Paese è arrivato in ritardo all’utilizzo dei test genomici per il tumore del seno. “Dopo un lungo iter politico-burocratico-amministrativo sono da diversi mesi disponibili gratuitamente per tutte le pazienti nell’intera la Penisola”, spiegano Curigliano e Cognetti. Tuttavia, registriamo ancora uno scarso uso da parte del personale medico-sanitario. Al momento stiamo utilizzando solo il 50% dei test rimborsati e quindi disponibili per clinici e pazienti. Le continue evidenze scientifiche prodotte stanno dimostrando in modo inequivocabile le grandi potenzialità che possiedono. Infatti, nelle neoplasie mammarie luminali a rischio ‘intermedio’ persiste una forte incertezza terapeutica e non sempre la chemioterapia è necessaria”. Come mai questo ritardo? “Da una parte c’è scarsa consapevolezza da parte degli stessi clinici – risponde Curigliano – dall’altra anche una certa pigrizia e scetticismo per l’innovazione”. E’ un problema du costi? “No, perché per le pazienti il test è gratuito e comunque consente di risparmiare sui costi della chemioterapia quando non necessaria. Ecco perché – conclude Curigliano - non prescrivere i test genomici è una malpractice”.

 

L’esempio della Lombardia

 

Vantaggi sulla qualità di vita e sui costi che sono stati dimostrati anche da un’esperienza italiana, quella della regione Lombardia dove otto pazienti con un tumore al seno su dieci accedono gratuitamente ai test genomici, qualora sia necessario eseguirli. Si stima che nel corso del 2022 in Lombardia ne siano stati eseguiti in tutto circa 1.500 sui 1.800 potenzialmente rimborsabili, ossia oltre l’80%. E questa percentuale fa della Lombardia un esempio da seguire da parte di altre regioni in cui, invece, il sistema ancora non riesce a sfruttare a pieno i fondi stanziati proprio per garantire l’accesso ai test genomici: in media, in Italia, la percentuale è del 40%.