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Sclerosi multipla, ricerca e terapie più efficaci se i pazienti sono ascoltati e informati

Sclerosi multipla, ricerca e terapie più efficaci se i pazienti sono ascoltati e informati
Lo racconta Paola Zaratin, direttrice scientifica della Fondazione italiana sclerosi multipla e coordinatrice del progetto Multi-Act per migliorare il patient engagement. Si partirà dagli studi sulle malattie neurodegenerative
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Da anni si parla di patient engagement, di pazienti informati, a indicare il loro crescente ruolo come parte attiva nei percorsi di ricerca e cura che li riguardano. L'esperienza del paziente, infatti, può aiutare a guidare le priorità, a ottimizzare l'aderenza alle terapie e l'uso delle risorse. Ma troppo spesso, nella pratica, il patient engagement si riduce a una presenza ridotta e limitata dei pazienti nei tavoli di discussione in materia di farmaci e terapie, senza che il loro contributo sia valorizzato in tutte le fasi della ricerca. Quello che serve oggi, tanto più alla luce delle lezioni che ci ha impartito la pandemia, è rendere il paziente davvero coinvolto, vero protagonista del team di ricerca.

Cosa significa patient engagement

A raccontare tutto questo è Paola Zaratin, direttrice scientifica di FISM (Fondazione italiana sclerosi multipla) e coordinatrice di MULTI-ACT, il progetto finanziato dalla Commissione Europea e dedicato alle persone con malattie neurodegenerative. Di cosa si tratta? Di uno strumento digitale che aiuta chi fa e finanzia la ricerca a mettere in pratica una gestione partecipata dei pazienti, come illustra l'articolo pubblicato su Health Research Policy and Systems. “Quando parliamo di patient engagement non intendiamo che i pazienti - e più in generale i cittadini - siano chiamati a fare gli scienziati, ma che siano incentivati a portare la loro esperienza, mettendola a disposizione di tutti gli altri stakeholder, come medici, psicologici e decisori politici”, spiega Zaratin: “Il punto chiave del coinvolgimento dei pazienti è rendere scientifiche le loro testimonianze, comprensibili a tutti gli altri attori della ricerca”. 

Gli strumenti

Il riferimento è, per esempio, a strumenti come i Patient-Reported Outcome, quali questionari o informazioni acquisite grazie a tutto il mondo dell'e-health, che vengono utilizzati per misurare gli esiti di un trattamento, compilati direttamente dai pazienti. Da soli però non bastano: serve anche investire nella formazione dei pazienti perché sappiamo tradurre al meglio la loro esperienza e integrarla con quella degli altri attori. E serve quello che Zaratin e colleghi nelle linee guida di MULTI-ACT hanno chiamato “Engagement Coordination Team”, un team di coordinamento che possa raggiungere la comunità di riferimento, persone che condividono una stessa condizione, così da allargare la rappresentatività dei pazienti, definendo quando e come è richiesta la loro partecipazione nelle diverse fasi della ricerca. In primis per esempio, si legge sempre nelle linee guida, nella diffusione dei risultati e nel definire quali devono esserne le priorità, ma anche nella sua pianificazione. “Ciò che era iniziato come un'estensione dell'advocacy del paziente si è ora evoluto in una disciplina scientifica emergente – prosegue ancora Zaratin – volta a comprendere e incorporare le esperienze, i bisogni, le aspettative e le prospettive del paziente - in poche parole la sua conoscenza esperenziale - nel processo di ricerca sanitaria”.

In questa ottica il paziente può davvero sedersi allo stesso tavolo dei ricercatori, partecipando alla definizione degli obiettivi, alla sperimentazione, alla misurazione dei risultati e alla loro diffusione. “MULTI-ACT è un progetto pensato per tutta la ricerca sanitaria, ma le patologie neurologiche, in virtù della loro complessità, rappresentano il terreno ideale per testare questi modelli di governance partecipata”, conclude Zaratin.

 

Crediti immagini: Progetto Multi-Act