In evidenza
Sezioni
Magazine
Annunci
Quotidiani GNN
Comuni

Così il trapianto di microbiota può funzionare su più malattie

Così il trapianto di microbiota può funzionare su più malattie
Una ricerca, pubblicata su Nature Medicine, individua le modalità per ampliare l'uso di questa tecnica in diverse patologie. Individuata anche la via per trovare il donatore giusto

 
2 minuti di lettura

Sul fatto che la tecnica funzioni, non sembrano esserci più dubbi. I punti da chiarire, semmai, riguardano gli aspetti che possono amplificare o ridurre l'efficacia della terapia. Il trapianto di microbiota fecale rappresenta una soluzione già validata per eradicare l'infezione da Clostridium difficile, un batterio in grado di colonizzare l'intestino e ormai resistente a quasi tutti gli antibiotici. Ed è studiato anche per quello che potrebbe essere un impiego nella gestione di malattie tra loro molto diverse - dalla sindrome metabolica a quella di Tourette - ma che sembrano legate a un'alterazione significativa della flora batterica intestinale.

Oltre a indagare quanto ampio possa essere lo spettro di malattie trattabili trasferendo i microrganismi che abitano nell'intestino di un individuo (donatore) in quello del paziente, rimane da capire quali aspetti regolino la riuscita o meno di questo intervento. Un puzzle dalla composizione variegata, che hanno iniziato a comporre i ricercatori del Policlinico Gemelli di Roma, dell'Istituto Europeo di Oncologia e dell'Università di Trento. Con risultati importanti al fine di immaginare un utilizzo più esteso del trattamento.

Donatore e ricevente

Affinché il trapianto di microbiota fecale abbia successo, è necessario che il maggior numero di microrganismi trasferiti attecchisca nell'intestino dell'ospite. In estrema sintesi, è questo il messaggio che emerge da uno studio pubblicato sulla rivista "Nature Medicine" , al termine di una lunga e sofisticata attività di sequenziamento di oltre 1.300 campioni di feci donatori e pazienti affetti da otto diverse malattie: oltre all'infezione da Clostridium difficile, altre causate da diversi batteri, la sindrome metabolica, il melanoma, le malattie infiammatorie intestinali (Crohn e rettocolite ulcerosa), la sindrome del colon irritabile, la diarrea da chemioterapia e la sindrome di Tourette. Andando a ricostruire la sequenza del Dna di questi microrganismi direttamente a livello intestinale, i ricercatori hanno identificato i diversi ceppi presenti nel microbiota di ogni individuo. E, considerando a quel punto la conoscenza del profilo del donatore e di quello del ricevente, valutato l'attecchimento nel nuovo ospite.

Quanto più elevato questo è risultato elevato, "tanto migliore è stata la risposta clinica alle malattie --spiega Gianluca Ianiro, gastroenterologo del Policlinico Gemelli di Roma e prima firma della pubblicazione - .Abbiamo anche notato che l'attecchimento è maggiore nei pazienti con una malattia infettiva rispetto a quello registrato tra coloro che erano affetti da una malattia cronica". Segno, con ogni probabilità, che il trapianto è più efficace nel ripristinare una condizione di disequilibrio alterata da un'infezione e non una dettata da una causa più complessa e protratta nel tempo.

Il complesso ruolo del microbiota intestinale

La procedura, come detto, è già validata a livello clinico. Ma soltanto per il trattamento dell'infezione da Clostridium difficile, per cui risulta ormai sicura: oltre che efficace in 9 casi su 10 (senza ricadute). Notevole però è l'interesse da parte della comunità scientifica, attratta dalla possibilità che la "manipolazione" del microbiota possa concorrere a ridurre i fattori di rischio di alcune malattie, se non proprio contribuire a curarle. Un'ipotesi derivata dal fatto che diversi studi hanno evidenziato come molte malattie - tra cui anche alcuni tumori, come peraltro dimostrato sempre dai ricercatori dell'Università di Trento a febbraio, su "Nature Medicine" - sono state collegate a un'alterazione della composizione e delle funzioni del microbiota intestinale. Ipotesi plausibile, considerando che batteri, funghi e protozoi che compongono quello che gli esperti considerano ormai a tutti gli effetti un organo svolgono diverse funzioni: ostacolano la colonizzazione da parte di patogeni esterni, partecipano al metabolismo attraverso la digestione di zuccheri complessi, contribuiscono allo sviluppo del sistema immunitario, modificano l'efficacia e la tossicità dei farmaci assunti e regolano la motilità intestinale.

Come viene effettuato il trapianto

Come ricostruire allora il microbiota, in caso di malattia? Il trapianto si effettua isolando e purificando il microbiota del donatore raccolto dalle feci e trasferendolo con varie modalità - in capsule o durante una colonscopia - al paziente donatore. La grossa incognita di questa procedura è rappresentata però proprio il livello di attecchimento dei microrganismi trapiantati nell'intestino del paziente ricevente. "Abbiamo anche riscontrato - prosegue Ianiro - che i pazienti trattati con antibiotici prima della procedura di trapianto hanno avuto un attecchimento maggiore. E che l'infusione del microbiota tramite vie di somministrazione multiple favorisce l'attecchimento". Meglio, cioè, con una capsula e un'infusione attraverso la colonscopia insieme che soltanto attraverso uno dei due approcci.