Epatiti, gli esperti: "Campagna vaccinale per l’influenza con test combinato Covid e Hcv"
di IRMA D'ARIA
In occasione della Giornata mondiale delle epatiti, gli specialisti propongono azioni concrete per raggiungere l’obiettivo di eradicare l’Hcv entro il 2030 come indicato dall’Oms
Aggiornato alle 5 minuti di lettura
L’obiettivo fissato dall’Oms di eradicare l’epatite C entro il 2030 sembra ora più lontano per l’Italia visto che - secondo le stime della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) - durante il lockdown c’è stato un calo delle prestazioni di diagnosi e cura per le epatiti di circa il 90% rispetto alla fase pre-Covid. In occasione della Giornata mondiale delle epatiti, dagli esperti - riuniti in una tavola rotonda organizzata proprio dalla Simit con il contributo non condizionato di Gilead Sciences - arriva la proposta di far partire in autunno una campagna vaccinale contro l’influenza a cui abbinare il test per il Coronavirus e quello per l’epatite C. Perché il vero problema è quello di ‘scovare’ i casi sommersi.
I dati mondiali
Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità, nel mondo 25 milioni di persone vivono con l’epatite virale B e C, e circa 1,3 milioni ogni anno sono i decessi collegati alle sue conseguenze, ovvero cirrosi epatica e cancro al fegato. Il 10% delle persone che vivono con l’epatite B e il 19% di coloro che vivono con l’epatite C non sa di essere infetto. In Europa si stimano 14 milioni di persone con infezione cronica da virus dell’epatite C, molte delle quali non sono consapevoli di avere l’infezione. “L’obiettivo dell’Oms è ancora raggiungibile – ha dichiarato il viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri. L’Italia è tra i Paesi che finora ha fatto meglio e siamo anche diventati un esempio per altri. Dobbiamo perseguire un importante margine di miglioramento: l’applicazione di una diagnostica più ampia per trovare quel serbatoio di circa 200-300mila individui che hanno l’epatite C ma non lo sanno. Per questo dobbiamo accelerare sui programmi di screening e da questo punto di vista valuto positivamente l’ipotesi di associare i test Covid a quelli per l’Epatite C anche se si tratta di patologie completamente differenti nel loro andamento”.
Test combinati Covid-Hcv: l’esperienza in Campania
Un primo esperimento dei test combinati è stato fatto a giugno in un comune in provincia di Napoli con l’idea di farne il primo centro d'Europa completamente libero da epatite C. Rendendolo al contempo tra i più monitorati a livello nazionale sul fronte della diffusione del Covid 19. Si tratta di Casola di Napoli, 3.900 abitanti, posto a ridosso di Gragnano e Castellammare di Stabia: l'iniziativa (denominata Stop Covid-Zero epatite C) è stata messa a punto dall'associazione EpaC in collaborazione con l'Asl Napoli 3 Sud, il Comune di Casola e Astra onlus (per i trapiantati di fegato). Il progetto ha previsto l'esecuzione di un test capillare per la ricerca degli anticorpi anti-Hcv e un test rapido per la ricerca degli anticorpi anti Sars-Cov2 (con la stessa puntura si prendono due gocce di sangue per fare i due test). “Il progetto che abbiamo promosso in Campania - ha spiegato Ivan Gardini, presidente di Epac Onlus - è andato molto bene e l’adesione della popolazione è stata ottima. Bisogna realizzare iniziative di micro-eliminazione lavorando in team e costruendo una nuova medicina del territorio anche alla luce di quanto ci ha insegnato il Covid 19”.
Campagna vaccinale: un’occasione da non perdere
La proposta dei test combinati piace anche a Massimo Galli, past president della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), e direttore del reparto di malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, che intervenendo alla tavola rotonda ha dichiarato: "In autunno dobbiamo fare una grande campagna vaccinale contro l'influenza. E non sarebbe male associare alla vaccinazione anche un test per il coronavirus e uno contro l'Hcv, in quest'ultimo caso per far emergere il sommerso che è ancora un problema non risolto".
I danni da Coronavirus
Epatiti B e C possono avere effetti particolarmente gravi, talvolta letali. Se cronicizzano, provocano complicanze nel tempo anche fatali come la cirrosi e il tumore epatico. Tuttavia, l’epatite B può essere prevenuta con il vaccino e l’epatite C curata con farmaci efficaci e risolutivi. Ma lo stop imposto dal lockdown ha avuto effetti disastrosi anche per i pazienti (inclusi quelli ancora non diagnosticati) di epatite C. “Se il ritardo nelle diagnosi e nei trattamenti non viene recuperato in tempi molto brevi - ha evidenziato Loreta Kondili, ricercatore medico del Centro Nazionale per la Salute Globale, Istituto Superiore di Sanità - nei prossimi cinque anni si potrebbero verificare 500 decessi per epatiti perché molti dei pazienti ‘sommersi’ hanno già una fase avanzata di malattia. Al contrario, trattando solo mille pazienti si otterrebbe un risparmio di 63milioni di euro”. Per questo, gli esperti chiedono l’attivazione di un Fondo ad hoc per l’epatite come quelli avviati in precedenza che consenta di fare screening e quindi iniziare le terapie rapidamente. “Ma è necessario - ha aggiunto Kondili - avviare i trattamenti immediatamente e non solo quando arriveranno i fondi”.
L’allarme dell’Oms sull’epatite B
La pandemia ha reso meno efficienti anche gli interventi di trattamento e, forse, l’estensione delle procedure vaccinali per l’Epatite B. Per combattere questa malattia è disponibile anzitutto un efficace vaccino ma anche terapie specifiche. Sull’epatite B arriva un allarme da parte dell’Oms: il 42% dei nuovi nati nel mondo non ha accesso al vaccino contro l’epatite B e ancora la trasmissione da madre a figlio rappresenta un frequente veicolo di infezione con il virus Hbv. Tutti i neonati, raccomanda l’Oms, devono essere vaccinati contro l’epatite B alla nascita, e con almeno 2 dosi aggiuntive. Allo stesso modo, tutte le donne in gravidanza devono essere regolarmente testate per l’epatite B e ricevere cure se necessario.
Le altre epatiti
Gli specialisti mantengono alta l’attenzione anche sulle Epatiti A ed E. Dal 1 gennaio al 31 dicembre 2019, il Sistema Epidemiologico Integrato delle Epatiti Virali Acute (Seieva) coordinato dall’Iss ha registrato una riduzione dell’incidenza dell’epatite A rispetto al 2018. Anche i primi approcci di quest’anno rilevano l’assenza di recrudescenza per questa malattia, che, peraltro, non cronicizza mai. Anche l’Epatite E è una malattia virale acuta con caratteristiche cliniche simili a quelle dell’epatite A. Si stima che 1/3 della popolazione mondiale sia stata esposta al virus e che ogni anno 20 milioni di persone acquisiscano l’infezione, con almeno 600 mila decessi ogni anno. In Italia, nel corso del 2019 si è raggiunto un vero e proprio picco con un numero di casi raddoppiato rispetto all’anno precedente (98 casi rispetto ai 49 del 2018).
Il virus dell'epatite E
Questo incremento costituisce un campanello d’allarme e impone un monitoraggio attento dell’andamento nei prossimi mesi. “Quello che è accaduto con il Covid - ha spiegato Massimo Andreoni, direttore scientifico Simit e ordinario di Malattie Infettive, Facoltà di Medicina e Chirurgia Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” - ci ha dimostrato che la salute del singolo riguarda tutti quindi dobbiamo mantenere alta la guardia anche sulle altre epatiti che ci sembrano lontane dal nostro paese. Per esempio, il virus dell’Epatite E sta acquisendo nuova importanza. Ci dobbiamo abituare all’idea di avere una visione globale della salute pubblica e tra l’altro di epatite E ce n’è tanta anche in Italia ma tenuta sotto controllo. Recentemente un ceppo di questo virus tipico dei ratti si è dimostrato in grado di causare almeno una decina di infezioni nell’uomo ad Hong Kong e in altri paesi asiatici. Si tratta di un virus che ha una diffusione in natura molto ampia e dobbiamo considerarla come un’altra possibile malattia che si diffonde attraverso il passaggio di specie dall’animale all’uomo. Stiamo cercando di studiarla analizzando l’ultimo focolaio di Hong Kong anche perché non abbiamo ancora terapie efficaci”.
Le nuove terapie
Un contributo importante alla realizzazione dell’obiettivo dell’Oms di eliminare l’Hcv entro il 2030 arriva anche dalla semplificazione della gestione clinica dei pazienti. Va proprio in questa direzione la rimborsabilità concessa qualche giorno fa da Aifa per la combinazione glecaprevir/pibrentasvir che prevede una singola somministrazione al giorno, da 12 a 8 settimane anche per i pazienti con infezione cronica da epatite C di genotipo 3, con cirrosi compensata e che non hanno mai ricevuto il trattamento. “In Italia molti pazienti non hanno mai ricevuto alcun trattamento, spesso perché non è loro possibile gestire le complessità di natura pratica e clinica che si associano al percorso terapeutico" ha affermato. "Una opzione terapeutica di minore durata e un approccio semplificato prima della terapia possono eliminare la necessità di visite aggiuntive e aiutare un numero significativamente maggiore di persone a superare gli ostacoli al trattamento che sono reali e concreti”.