Lega, guerra dei numeri su Pontida: le due foto a confronto non lasciano dubbi
Il raduno non segna la fine delle ostilità: nelle chat dei dissidenti le immagini del 2019 e 2023 durante il comizio di Zaia
Laura Berlinghieri
Duemiladiciannove contro duemilaventitré. Le due fotografie si rincorrono tra le chat lighiste, e sono accompagnate da commenti impietosi. Cristallizzano le due Pontida, cristallizzano le due Leghe.
Un “pratone” debordante di militanti, elettori, leghisti, nel 2019: l’anno del boom della Lega alle Europee, primo partito in Italia, con il 34,26% dei voti. Un “pratone” che, confrontato a quello di quattro anni prima, sembra vuoto, nel 2023: primo termometro dopo le elezioni che hanno segnato il tracollo del partito, sceso all’8,9% delle preferenze.

Le due foto sono state scattate nello stesso momento: lo dimostra il Leone di San Marco adagiato sul palco, durante il comizio del presidente Zaia. E quest’anno a poco è servita l’operazione di maquillage, posizionando dei grossi gazebo per delimitare l’area occupata dai leghisti. Nel giro di quattro anni, è l’accusa che corre tra chi contesta la linea Salvini, il “pratone” di Pontida è diventato un “pratino”.
E le due Leghe si vedevano pure al raduno stesso, domenica. Sul palco, con la lunga fila di consiglieri e assessori regionali. Meno tre. I tre rimasti sul “pratone”, appunto: i dissidenti Federico Caner, Gianpaolo Bottacin e Roberto Marcato. Ieri hanno rispettato i loro impegni istituzionali: Marcato ha partecipato a un convegno di Confidustria a Verona. Bottacin ha iniziato la giornata a Treviso, a un convegno dell’Anci, poi ha incontrato il direttivo dell’associazione Eva Alpago e il dg dell’Usl 1 Dal Ben, infine ha preso parte a un convegno organizzato dal presidente dell’Ordine degli ingegneri.
Per Caner è stato il primo giorno di vendemmia. Lo ha omaggiato con una fotografia pubblicata su Instagram, accompagnata da un commento al veleno: «Il mondo agricolo è metafora perfetta della vita: non ci si ferma davanti a nulla (siccità, intemperie…) e si continua a lavorare. Per il bene della terra, e di chi ci vive». E chi ha orecchie per intendere, intenda. Il giorno dopo Pontida, assicura di non avere ricevuto telefonate inviperite dai vertici del partito. In generale, il telefono non è squillato a nessuno dei veneti, nonostante la minaccia di Salvini agli assenti. «Ma penso che avesse altro a cui pensare» dice un militante storico. «Quest’anno è stato un bagno di sangue: non c’era nessuno, rispetto al passato».
Bocche cucite in casa Lega. Almeno, tra chi consente di essere citato sul giornale. Il solo a non avere più alcuna remora è Federico Caner. «Sono nella Lega da 30 anni e sono un dirigente di questo partito. Ho il dovere di dire quello che penso, anche perché è un pensiero condiviso da molti. Semplicemente sono il solo che ha il coraggio di dire certe cose». Si riferisce all’avversione alla gestione salviniana, si riferisce a un partito che ha perso il suo baricentro settentrionale, «ma soprattutto la fede federalista».
Si riferisce, in ultimo, alla decisione di invitare Marine Le Pen sul palco di Pontida. «Ecco, se è vero che non ho ricevuto telefonate dai vertici, ne ho ricevute tantissime dai miei compagni di partito. È una maggioranza silenziosa che mi chiede di non mollare. Contesta lo spostamento della Lega verso l’estrema destra, il nostro essere diventati un partito nazionale e centralista. Mi raccontano della delusione dopo Pontida: poca gente, ma, soprattutto, tante bandiere del Sud».
Eppure Caner resta. «Per modificare il partito. Se questo cambiamento non ci sarà, non so cosa accadrà, ma non ha senso parlarne. Quello che bisogna fare, al più presto, è un nuovo congresso: federale e regionale. Ma che non sia una farsa, come l’ultimo, con espulsioni su misura ed esclusioni dal voto. Un congresso di tutti i militanti».
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