
Il film "Pacifiction-Un mondo sommerso"
Cinema al 100 per cento, ecco le recensioni dei film in sala dal 18 maggio
La fine dell’Eden nell’ipnotico thriller politico-esistenziale “Pacifiction – Un mondo sommerso” di Albert Serra con un gigantesco Benoît Magimel. Un film da 9. François Ozon guarda a Fassbinder nel suo “Peter von Kant” in cui fa venire a galla, come in un processo terapeutico, quanto sia fatta di violenze, psicologiche prima che fisiche, la sottomissione e la supremazia nell’arte del cinema
PACIFICTION – UN MONDO SOMMERSO
Regia: Albert Serra
Cast: Benoît Magimel, Pahoa Mahagafanau, Marc Susini, Matahi Pambrun, Alexandre Melo
Durata: 163’
Tahiti, Polinesia francese. Le giornate dell’alto commissario del governo francese De Roller (Benoît Magimel) scorrono tra incontri diplomatici, chiacchiere con gente del posto, locali notturni e tramonti incendiari, in un equilibrio che sembra vacillare quando nell’isola si sparge la voce di imminenti test nucleari in Polinesia, anni dopo Mururoa. In quel paradiso si insinua una angoscia strisciante, un nervosismo latente, come una lunga e insostenibile alba di un ultimo giorno sulla Terra. Dentro o fuori. Il nuovo film di Albert Serra – Pacifiction. Un mondo sommerso – non ammette mezze misure.
Se si accetta di seguire il regista spagnolo in questa ipnotica divagazione sulla fine dell’Eden, se si asseconda questo lungo (quasi tre ore) flusso contemplativo dei nostri tempi che portano con sé, perfino in un luogo insospettabile come un’isola polinesiana, qualcosa di decadente e marcescente, il viaggio che ne segue è potente, destabilizzante, meraviglioso nella angosciosa presa di coscienza di una umanità destinata a essere annichilita da se stessa.
Albert Serra, tra cromie sovraesposte e divagazioni di ogni genere (stupefacente quella a largo dell’isola durante una sessione di surf), firma una sorta di thriller politico-esistenziale, instilla, goccia dopo goccia, una tensione quasi insostenibile in un lembo/limbo di terra osservata poco prima che la mela del peccato venga colta. Come la fine di un sogno, di cui, evidentemente, le immagini di Serra hanno l’incedere.
Gigantesco, nel suo abito coloniale bianco, Benoît Magimel, fisico e fantasmatico allo stesso tempo; testimone di un’epoca che vira in caduta libera nel rosso di un tramonto definitivo e in quello di un mare dalle tinte apocalittiche. (Marco Contino)
Voto: 9
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PETER VON KANT
Regia: François Ozon
Cast: Denis Ménochet, Isabelle Adjani, Khalil Ben Gharbia, Hanna Schygulla, Stefan Crepon
Durata: 85’
Nel 1972, Rainer Werner Fassbinder firmava uno dei suoi film più duri e tristi, “Le lacrime amare di Petra von Kant” sull’impossibilità e la passione dell’amore, di qualsiasi genere essa sia.
Oltre cinquant’anni dopo François Ozon decide di trasportare al maschile la vicenda e di renderla più autobiografica (la stilista diventa un regista), tributando così un doppio omaggio a Fassbinder, anche grazie al cameo di Hanna Schygulla, che nel 1972 era la giovane modella, amante di Petra.
Ozon oscilla tra il noir e il melò come sua cifra stilistica e cinematografica e qui riempie letteralmente lo schermo con la maschia esuberanza (molto stile Fassbinder) del suo attore feticcio, Denis Ménochet, mantenendo la storia e la claustrofobia, ma rendendola in qualche modo meno drammatica del suo mentore tedesco, forse anche a causa di un’autoreferenzialità e di un gusto citazionistico molto forte, tra macchine da scrivere, filmati, lettone centrale e alcool, molto alcool.
Dopo esser stato lasciato dalla moglie, con la quale ha comunque avuto una figlia, l'affermato regista cinematografico Peter von Kant vive in compagnia del suo assistente Karl. Quando incontra il giovane aspirante attore Amir, che l’amica Sidonie gli porta in casa, l'uomo si innamora di lui e decide di farne un grande attore. Ma ovviamente Amir cerca di trarre vantaggio dalla relazione e lascia in fretta Peter, abbandonandolo alla sua solitudine e alla passione irrisolta.
E anche qui il dolore fa aprire gli occhi a Peter che si rende conto di quanto abbia umiliato in questi anni il suo assistente Karl. E come Marlene, la segretaria di Petra, anche Karl prenderà coscienza di sé e abbandonerà Peter a sua volta.
Ozon cita, rende omaggio, ma parla anche di sé, della sua vita e della sua dimensione, e fa emergere, venire a galla come in un processo terapeutico di riaffioramento dell’inconscio, di quanto sia fatta di violenze, psicologiche prima che fisiche, la sottomissione e la supremazia nell’arte del cinema.
E vira alla lunga il melò nel kitsch. (Michele Gottardi)
Voto: 7
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