La parola destino
La tragedia della bambina arrivata dall’Ucraina per fuggire dalla guerra e che ha trovato la morte in un lago a Revine. Ciao Mariia, il tuo “dolya” era un demone cattivo
Fabrizio Brancoli
Ciao Mariia. C’è una parola complicata in italiano, forse l’avrai incontrata negli ultimi mesi o forse no. La parola destino. Non riusciamo a spiegartela, ha a che fare con cose talvolta ingiuste. Destino in ucraino si dice dolya ma una bambina di 7 anni avrebbe diritto di non conoscerne il significato. È una ignota aritmetica degli eventi e dei luoghi, dei tempi e delle conseguenze. Ha poco a che fare con le scelte e niente a che fare con i meriti.
Il tuo dolya era un demone cattivo. Si è occupato di te, che non avevi colpe; e ti ha fatto tanto male. Prima ti ha colpito con la guerra, poi ti ha fatto scappare e ti ha portato in Veneto con la nonna, da profughe.
Il tuo dolya a quel punto ti ha fatto sperare di avere una vita migliore, di tornare a casa in pace oppure di imparare a essere felice qui. E poi ti ha portato in riva a quel lago.
Mariia, noi non riusciamo a spiegarti la tristezza cupa che ci prende quando pensiamo alla tua storia; quando facciamo i conti con l’assenza di giustizia morale e riflettiamo sull’atrocità delle circostanze.
C’è una canzone che tutti conoscono in Italia, è strana pure quella perché ha la musica festosa ma le parole sono tanto amare. Si chiama Samarcanda, arriva da leggende antiche e parla, anche lei, del destino. C’è la Morte che ti dà la caccia, tu allora corri via, lontano, credi di sfuggirle; e invece lei ti ritrova. Anzi: ti rivela che ti stava aspettando proprio lì, dove tu pensavi di essere finalmente al sicuro.
Ci è venuta in mente quella canzone quando abbiamo saputo di te, Mariia. Il destino ti ha aspettato qui, da noi: non l’avremmo mai voluto. Sette anni sono pochissimi, ti sono state tolte tante cose del futuro: gli errori, gli amori, i gelati delle prossime estati, le speranze, i film che non sono ancora stati fatti e le canzoni che non sono state suonate, le delusioni, i ricordi.
Eppure sei un segno, sei nel cuore di chi ti voleva bene e lasci un vuoto enorme: ecco, quel vuoto è il senso di chi sei stata, il dono prezioso che hai fatto al mondo.
Per l’Unicef sono morti più di trecento bambini in Ucraina, dall’inizio della guerra, più di seicento sono rimasti feriti e a milioni di loro, in patria o come rifugiati, serve assistenza umanitaria. Per noi tra quelle vittime ci sei anche tu.
Ora, per assolverci, speriamo di averti accolta bene, di averti dato ascolto, di averti abbracciata e di averti fatto sorridere qualche volta. Speriamo che tu non ti sia sentita sola, fuori posto, non compresa. Se è accaduto, ce ne vergogniamo. E ti chiediamo perdono.
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