Treviso, storia a colori di biciclette e società al Museo Collezione Salce
In 70 manifesti un racconto di tecnica, emancipazione, industria e sport quando il progresso viaggia su due ruote
Marzia Borghesi
TREVISO. Non si è mai indagato abbastanza attorno al ruolo che la bicicletta, al suo nascere, ricoprì sul piano dell’evoluzione sociale. Eppure quel geniale mezzo di trasporto su due ruote, originato due secoli fa dall’invenzione del barone Karl von Drays, che guadagna il proprio equilibrio ingannando la forza di gravità solo quando si monta in sella pigiando sui pedali, ha contribuito in modo determinante allo sviluppo della tecnologia industriale tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, favorendo allo stesso tempo l’emancipazione individuale soprattutto femminile, l’affermarsi di un modo di viaggiare e di fare turismo, e naturalmente, la diffusione di uno sport che rappresenta la massima sfida dell’individuo contro la fatica e che, per questo, è ancora molto amato.
MAESTRI DELLA GRAFICA
Una storia, quella della bicicletta, ben radicata nel Veneto e a Treviso che ospita a Santa Margherita, sede del Museo Collezione Salce, la mostra “Ruota a ruota. Storie di biciclette, manifesti e campioni”, visitabile fino a 2 ottobre (dal venerdì alla domenica dalle 10.15 alle 17.45). Attraverso il segno impresso sui manifesti pubblicitari dell’epoca da maestri della grafica come Marcello Dudovich, di cui quest’anno ricorrono i 60 anni dalla morte, Emilio Malerba, Gino Boccasile, Alberto Martini, Plinio Codognato, Aleardo Villa, Ugo Mazzolari, Orlando Orlandi, Achille Luciano Mauzan e altri, si ripercorre l’epopea della bicicletta con tutte le sue sfaccettature culturali e implicazioni socioeconomiche. A corredo, il bel catalogo di SilvanaEditoriale.
«Selezionare le 70 affiches che compongono la mostra non è stato facile» racconta la direttrice del Museo Salce, Elisabetta Pasqualin, curatrice del progetto ideato da Chiara Matteazzi e portato a compimento insieme ad Antonella Stelitano che ha fornito la consulenza storica. «La collezione comprende moltissimi manifesti con questo soggetto a testimonianza della sua centralità».
POSE PECCAMINOSE
Il fascinoso spazio museale – la chiesa di fine Duecento dove Tomaso da Modena realizzò uno dei più importanti cicli pittorici del XIV secolo – di recente restaurato è stato allestito secondo una divisione tematica. Al piano superiore, sulla “terrazza”, la sezione su sport e produzione industriale, arricchita da 15 esemplari della collezione storica Pinarello mai esposti prima d’ora; al piano terra invece la società con uno sguardo attento alla visione della donna e alla sua emancipazione.

Ancora incerto sul da farsi, se condannare o invece favorire l’acquisita libertà femminile, il costume del tempo registrò in tutti i casi un cambiamento di visione. La ciclista disegnata da Villa nel primissimo Novecento è una donna abbigliata con un curioso mix: guanti lunghi e cappello, e mutandoni. In piedi e non in sella, posa troppo “peccaminosa” per l’epoca. Negli anni Venti Plinio Codognato per Frera, fa il salto di qualità rappresentando una lei di rosso vestita su sfondo nero e finalmente in moto sui pedali. Chiamato dalle Officine Agrati per la Marca Prestigio, negli anni Cinquanta Gino Boccasile osa una felice signorina in trasparenze vermiglie, a cavallo di una sella gigantesca. Il dado era tratto e indietro non si tornò più.
LIBERI E VELOCI
L’idea di progresso, del resto, a cavallo tra Ottocento e Novecento era dominante. E la bicicletta simboleggiava la massima espressione di libertà individuale unita al concetto di velocità. «Un manifesto per me molto significativo è quello di Mauzen per Atala» sottolinea Pasqualin. Siamo negli anni Venti e il geniale illustratore francese disegna un fantino su sfondo rosso mentre, sui pedali, salta un ostacolo per cavalli. Ancora rosso per rappresentare un diavolo in sella, forse Giovanni Garbi, per la matita felice di Plinio Codognato incaricato dall’azienda Bianchi nel primo ventennio del Novecento. La società si evolve e richiede agli individui maggiore autonomia, nel contempo è forte la spinta impressa alla crescita industriale. Lo testimoniano i manifesti che pubblicizzano la produzione di pneumatici. Mazzolari per la Pneus Corona nel 1910 rappresenta un nudo maschile di schiena che imbraccia un copertone, sorta di oblò sullo skyline di Milano. Per Orlandi chiamato dalla Agnoli, la ruota è invece un cerchio infuocato attraversato da un nudo questa volta femminile in un’immagine che contiene tutto l’ardire di un mezzo meccanico che finalmente liberava il singolo nella sua facoltà di viaggiare.
LE PRIME GARE
La diffusione della bicicletta favorì anche invenzioni corollarie come quella della macchina fotografica portatile Kodak, la prima agile e pensata per semplici amatori. Tra i manifesti spunta anche un omino Michelin ciclista a testimoniare quanto questo tipo di produzione diverrà volano della meccanica leggera, fino all’approdo all’industria automobilistica: dalla Peugeot alla Opel. Una delle pioniere del tempo, la Menon “fabbrica di velocipedi” e poi di vetturette, fiorì a Roncade. Lo racconta Alberto Martini in un’affiche liberty di fine Ottocento dove la bicicletta è rappresentata accanto a una donna elegante, quasi fosse un gioiello da indossare. Dalla Menon alla Carnielli e Bottecchia, fino alla Pinarello, dire bicicletta è dire Treviso e dunque sport.

Si ha notizia delle prime gare fin dal 1886 a Conegliano, nel 1888 una sezione ciclistica viene creata dalla Società Ginnastica Velocipedistica Trevigiana. Nel 1911 si svolge a Treviso una “Corsa per signorine”, sdoganando quindi il ciclismo femminile che verrà riconosciuto a livello agonistico solo nel 1962. Intanto nel 1951 Nane Pinarello vinceva la maglia nera del 34esimo Giro d’Italia. Nella sezione allestita con la collezione storica, è esposta l’arcaica bicicletta con cui correva: lontanissima dal mezzo futuribile affidato nel 2021 alle gambe di Filippo Ganna. Ma con quella bicicletta ancora rozza, Giovanni Pinarello prendeva 100 mila lire di compenso che investì subito nella creazione dell’azienda. C’è tutta Treviso in quella impresa, e siamo all’oggi.
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