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Adunata Rimini, le accuse di molestie agli alpini e la replica di Favero

Oltre 150 le segnalazioni di abusi raccolte dall’associazione “Non una di meno” dopo la tre giorni a Rimini. La risposta del presidente dell’Ana Sebastiano Favero: «Se ci sono reati denunciate, i social non bastano»

Chiara Baldi e Grazia Longo
5 minuti di lettura

Il sabato pomeriggio con l’amica, gli stand in piazzale Kennedy, la musica alta, il ballo: poi, a un certo punto, il braccio che viene strattonato, Adriana che non capisce chi sia e nell’arco di qualche minuto si ritrova in mezzo a un cerchio di 8-10 uomini, tutti over 50, con la “divisa” e la penna nera.

La mettono davanti a un signore con i capelli canuti, lui le scosta il giubbino di pelle dalla spalla, glielo apre sul seno, glielo sfiora. Lei gela. L’amico, un altro signore di mezza età, le dice «sai, lui è un chirurgo plastico, se vuoi ti dà una sistemata».

Adriana ha 27 anni e sabato era con un’amica a Rimini, voleva godersi un pomeriggio di relax e spensieratezza, il primo dopo oltre due anni di pandemia: c’erano gli Alpini che nella città romagnola hanno festeggiato, per tre giorni, il loro 93esimo anniversario.

Per poco più di 72 ore di festeggiamenti l’associazione transfemminista “Non Una Di Meno Rimini”, che ieri sera ha convocato una “controAdunata” con centinaia di persone per valutare la possibilità di una denuncia collettiva alle autorità, ha raccolto tra le 150 e le 170 testimonianze: sono arrivate via social, via messaggio, molte anonime. In tante, però, ci hanno messo la faccia. Come Adriana, appunto, che ancora non ci crede, ha quasi vergogna a parlarne: «Ho urlato “come vi permettete”, ho detto “basta”, ma non è servito a nulla. Nessuno è intervenuto, salvo la mia amica, e loro hanno soltanto riso. Mi sono sentita umiliata, come se fossi una sorta di prodotto su uno scaffale al supermercato, come se fossi un oggetto. Sicuramente non mi hanno fatta sentire una persona: mi hanno tolto il diritto di dare il mio consenso e anche quando ho detto “no” l’hanno ignorato».

Interno giorno, hotel sul mare. Azzurra fa la receptionist, ha 34 anni. Sabato riceve una chiamata al fisso, le chiedono una stanza alle 15 per un gruppo di alpini, vogliono fare una doccia. Lei organizza. Poi loro arrivano in ritardo, lei sta quasi per staccare. Ma li aspetta. «Per fortuna non ero sola, c’era il mio collega, un ragazzo di 26 anni. Se non ci fosse stato lui non so come sarebbe finita», ci racconta due giorni dopo. Arrivano in dodici, sono già ubriachi «ma non è un’attenuante, anzi», la spingono in un angolo, lei finisce dietro il bancone. Uno di loro la punta con le mani, le intimano: «Vieni a fare la doccia con noi». Interviene il collega, Azzurra va a casa. Ma il giorno dopo gli Alpini – altri Alpini – tornano: festeggiano la fine dell’Adunata proprio nell’hotel in cui la ragazza lavora da sei anni. «Ero fuori a fumare una sigaretta, d’un tratto uno degli ospiti, senza che io quasi lo vedessi, mi viene di fronte e mi mette il cappello in testa. Poi mi dà un bacio sulla guancia destro e un altro sulla sinistra. Lo conoscevo? No. Gliel’ho chiesto? Nemmeno. Ma dato che era una Penna Nera si sentiva in diritto di dovermi comunque stampare due baci».

Altra scena, enoteca del centro di Rimini. Amina, 27 anni, italo-somala. «Non solo mi hanno detto frasi imbarazzanti del tipo “mi sono innamorato di te” oppure “che sport fai per avere questo bel culo?”, ma visto che sono mezza nera mi hanno dedicato un saluto fascista».

Qualche centinaio di metri più in là, altro bar centralissimo. Ci lavora anche Francesca, che ha 24 anni. «Mentre servivo all’esterno un signore sui 70 anni mi ha tirato a sé con una tale forza da farmi atterrare sulle sue ginocchia. Non ho detto nulla perché il bar era così pieno che non volevo creare problemi. Ma mi ha fatto schifo e non è stato neppure l’unico episodio». Altri le hanno rivolto attenzioni non desiderate: «Che begli occhi», le ha detto uno. Che poi ha approfittato di un momento con la mascherina abbassata per provare a baciarla.

A Raffaela, 19 anni, di Bologna non è andata tanto meglio. «Se non ci fosse stato il mio amico non so come sarebbe finita. Già così è andata che la polizia ci ha chiesto i documenti e anche “accusato” di aver scatenato una rissa. La verità è che io e i miei due amici eravamo a Rimini per fare un giro e a un certo punto mi sono ritrovata a essere seguita da quest’uomo che non mi dava tregua. Allora il mio amico mi ha protetta mettendosi alle mie spalle. Solo che poi si sono spintonati e alla quarta volante della polizia che passava, si sono fermati. E ci hanno chiesto i documenti». E ancora: Marta – la chiameremo così, perché lavora in una delle istituzioni che ha finanziato l’Adunata – ha 43 anni e le sue molestie sono avvenute una mattina al bar mentre faceva colazione. «Erano in tre, mi hanno accerchiata e strattonata per la giacca, volevano andassi a bere con loro. Mi sono ribellata, mi hanno toccato la pancia, ho perso la testa: nessuno deve permettersi di toccarmi senza il mio consenso».

Nella tre giorni di raduno riminese nessuno è intervenuto a interrompere le molestie. Come tre anni fa a Milano, al 90° dalla fondazione degli Alpini, quando decine di ragazze e donne vennero toccate e abusate verbalmente. «È goliardia», «sono clienti, dai, devi assecondarli», «cosa vuoi che sia, succede a tutte» le frasi – insopportabili – più ripetute. Tutte pronunciate da uomini. Tutte pronunciate da chi avrebbe potuto alzare la voce, sbattere fuori i clienti inopportuni e chiamare le forze dell’ordine. «Non c’è assenso senza consenso». 

LA REPLICA DEL PRESIDENTE ANA

Sebastiano Favero, 73 anni, presidente dell’Associazione nazionale alpini, è un veneto pragmatico originario di Possagno, un piccolo centro in provincia di Treviso noto per aver dato i natali al grande scultore Antonio Canova. Con piglio deciso afferma che per lui «contano i fatti concreti, gli atti reali non le parole. Se ci sono davvero stati incresciosi episodi di molestie sessuali interverremo, ma non possiamo vedere infangato il buon nome degli alpini».

Che cosa aspettate per prendere provvedimenti?

«Credo sia fondamentale che le presunte molestie vengano denunciate alle forze dell’ordine. Ma al momento non mi risulta che né ai carabinieri né alla polizia si siano presentate donne per formalizzare una denuncia. E dire che per le strade di Rimini di rappresentanti delle forze dell’ordine ce n’erano a bizzeffe, ma nessuno, ribadisco è stato contattato per raccogliere una denuncia. Io sono il primo a invitare le donne a denunciare, ma se appunto siamo di fronte a fatti concreti».

Ma molte donne hanno raccontato sui social le attenzioni moleste subite.

«Guardi, io i social li uso poco proprio perché li ritengo poco attendibili. Le denunce vanno presentate in caserma. In quel caso siamo pronti a condannare i colpevoli, a patto che facciano parte della nostra associazione, che non siano infiltrati».

Infiltrati in che senso?

«Capita che durante i nostri raduni dei ragazzotti si procurino il cappello da alpino e si infiltrino nel corteo per dare fastidio alla gente, uomini o donne che siano. Non vorrei che anche stavolta ci trovassimo in una situazione simile».

Ma le donne che protestano non parlano di giovani.

«Vorrei poter capire se questo è vero. Insistito: abbiamo bisogno di fatti concreti, non di sentito dire. A Rimini hanno sfilato oltre 500 mila persone, va a capire quanti non erano nostri associati».

L’Ana quanti soci ha?

«Abbiamo 340mila soci e 30 sedi in tutto il mondo. In Italia, nei piccoli paesi abbiamo 4.500 gruppi di soci che appartengono a 80 sezioni».

Lei da quanto è presidente?

«Dal 2013».

Le era già capitato di assistere a una protesta simile?

«In parte sì, in occasione del raduno a Trento del 2018: ci fu qualche segnalazione, ma anche lì nessuna denuncia formale, di molestie sessuali, ma soprattutto vennero stigmatizzati atti di vandalismo nelle piazze. Alla fine però si scoprì che non si trattava di nostri associati. E comunque ogni volta prima di un’adunata nazionale inviamo a tutti un comunicato raccomandando un comportamento idoneo ai valori dell’associazione. Altrimenti provvediamo con delle sanzioni».

Quali?

«Il richiamo, la sospensione da 6 mesi a due anni e l’espulsione per fatti gravi. Non esitiamo a punire chi sbaglia».

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