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Resistenza: la storia di Iole Mancini e del suo amore partigiano

In un libro scritto a quattro mani con Concetto Vecchio, giornalista di Repubblica, la vita dell’ultima testimone rimasta di una delle pagine più terribili dell’occupazione nazista di Roma: la prigione di via Tasso. Un memoir per non dimenticare l’orrore della guerra

Enrico Pucci
1 minuto di lettura

Iole Mancini con Concetto Vecchio

 

La guerra esce dai libri di storia e diventa tragica attualità, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin. Leggere vicende come quella che Concetto Vecchio, quirinalista di Repubblica, ha così ben ricostruito nel suo “Un amore partigiano” scritto con Iole Mancini (Feltrinelli, pp 220, 18 euro) assume oggi un senso ben più drammatico per chi, come i nati nella seconda metà del ventesimo secolo, quei fatti li aveva appresi solo studiandoli distrattamente a scuola.

È la storia di Iole Mancini, classe 1920, staffetta partigiana, ultima testimone vivente di una delle pagine più terribili dell’occupazione nazista di Roma: la prigione di via Tasso, dove fu rinchiusa nella primavera del 1944 per non aver voluto tradire suo marito Ernesto Borghesi, uno dei protagonisti della Resistenza nella capitale dopo l’8 settembre.

Un libro firmato a quattro mani con Iole, che avvince come un romanzo e che merita di essere letto per tanti ottimi motivi. Per non dimenticare mai che quello che stiamo vedendo accadere oggi in Ucraina è già successo tante volte nella storia, e anche appena ottant’anni fa nel nostro Paese. Perché la storia non è una pagina scritta in bianco e nero ma carne viva. Perché ci sono pagine cariche di tensione, in particolare quelle sull’evasione di Ernesto dal carcere di Regina Coeli braccato dalle SS, la caccia all’uomo, gli interrogatori, i nascondigli. Perché la forza d’animo con cui Iole ha affrontato l’orrore della prigione nazista, per non tradire il suo amore e i suoi ideali, illustra magnificamente la parola “Resistenza”. Anche dopo la Liberazione, nel difficile – forse impossibile – ritorno a una vita “normale”, per chi aveva patito persino la tortura. Qui ci sono alcune delle pagine più belle e originali del libro che non si chiude al 25 aprile ma che prosegue la sua narrazione fino ai giorni nostri, attraverso gli anni della ricostruzione e del boom. Non piegarsi, reagire, resistere. Anche nelle difficoltà che la vita quotidiana ci presenta: potrebbe essere questa un’altra chiave di lettura del racconto.

Iole sopravvive per una incredibile decisione del fato: un’avaria dell’autocarro che avrebbe dovuto portarla al luogo scelto da Priebke e compagnia per trucidare i prigionieri. «E quindi tu ti sei salvata perché quel camion non ha voluto saperne di mettersi in moto?» le chiede sbigottito il giornalista. «Sì, Dio ha voluto così».

La copertina del libro 

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