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Cambiamento climatico in Veneto, il Delta del Po sotto la minaccia del mare: cosa sappiamo

Che succederà nel 2100 in una delle zone naturalistiche più affascinanti a cavallo tra Veneto ed Emilia Romagna? Sarà sommersa dalla risalita dell’Adriatico o salvata dalle arginature alzate con costante tenacia da chi si occupa della salvaguardia di questa terra e della sua gente? Il report dell’Ipcc parla chiaro e non prospetta certo un futuro felice, ma c’è chi dissente e chi lavora per evitarlo

Alessia De Marchi
12 minuti di lettura

Paesaggio dell’ estremo Delta del Po: si nota la coesistenza del mare( di fronte) gli scanni sabbiosi litoranei, le lagune ( dietro gli scanni, le valli da pesca ( quelle con gli arginelli) il territorio agricolo e la foce del ramo del Po di Maistra (foto Consorzio Delta del Po)

 

ROVIGO. Tra i luoghi più affascinanti a cavallo tra Veneto ed Emilia Romagna, un incredibile incontro tra terra e acqua dove la prima ha conquistato centimetro dopo centimetro, anno dopo anno, secolo dopo secolo, il suo spazio sottraendolo alla seconda ma senza comprometterne la bellezza naturale. Anzi. Ecco il Delta del Po oggi: una coabitazione quasi perfetta tra uomo e natura.

E domani? Che succederà di quest’area e del fragile equilibrio che ne garantisce l’esistenza alla luce del cambiamento climatico in atto? 

Il rapporto dell’Ipcc sugli effetti dell’innalzamento della temperatura globale e della conseguente salita del mare (l’Adriatico, in questo caso) non lascia spazio a grandi speranze a meno di un’immediata inversione di rotta.

Interventi di risezionamento di canali di scolo con ripresa di frane e opere di sostegno delle sponde franate sul Delta del Po (foto Consorzio Delta del Po)

 

La Regione Veneto finora ha lavorato per contenere allagamenti ed esondazioni. Fenomeni governati sul “campo” dal Consorzio Delta del Po attraverso un lavoro certosino di arginature, manutenzione e posizionamento di idrovore, … Un grande meccanismo ben programmato e “oliato” che ora però è chiamato a  reggere una nuova e repentina ondata ovvero la potente – e imprevedibile, nell’improvvisa accelerata - risalita del mare spinta dall’innalzamento medio del livello delle acque.

La Regione ha avviato uno studio preliminare sugli effetti del cambiamento climatico aderendo al progetto europeo “Change we care”. La fase preliminare di indagine sul presente è stata completata con l’obiettivo successivo di individuare azioni per preservare terra, fiume e suo abitanti. 

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IL DELTA OGGI

Un luogo "lavorato” dalla natura e dall’uomo con grandi campagne di bonifica

Un sistema ambientale molto importante in gran parte sotto il livello del mare

La pesca sul Delta del Po (foto Agf)

 

«Il Delta del Po», introduce lo studio regionale, coordinato dalla geologa Marina Aurighi, «è l'ultimo sottobacino che sottende l'intero bacino del Po, e si sviluppa come una regione pianeggiante con una superficie di 472,55 km2 (1,6% del bacino totale del Po), quasi completamente al di sotto del livello del mare. Il Delta è il risultato di processi naturali e antropici che hanno interessato per secoli la foce del fiume Po, portando alla sua tipica forma a cuspide».

A cavallo tra Veneto ed Emilia Romagna, prima di sfociare nell’Adriatico, il  grande fiume, “sacro” al popolo padano,  si divide in  Po di Levante, Po di Maistra, Po di Pila (con le foci di Scirocco e Tramontana), Po di Tolle, Po di Gnocca, Po di Goro.

E’ un'area di recente formazione, considerando le grandi ere della terra. Un’area creata da lenta sedimentazione e straordinari interventi di bonifica ed è ancora in continua evoluzione.

«Dal punto di vista ambientale», continua lo studio regionale, «il Delta del Po, con la sua interconnessione di habitat acquatici e terrestri, di acqua dolce e salata, rappresenta un sistema ambientale molto importante».

Rinforzo arginature e ripresa di frane sul Delta del Po (foto Consorzio Delta del Po)

 

E altrettanto fragile, «in gran parte al di sotto del livello del mare e disomogeneo, ad alto valore naturalistico, frammentato da un paesaggio costruito e talvolta in stato di abbandono a causa di eventi catastrofici (alluvioni, cedimenti, intrusioni saline) che hanno ridotto urbanizzazione e abitativo».

Le piogge. Il tasso di precipitazione varia tra 1 e 3 mm/giorno, cioè tra 400 e 1100 mm all'anno. La normale stagione delle piogge cade  in autunno, quando potrebbe raggiungere i 6 mm/giorno, mentre l'inverno e la primavera sono i periodi più “secchi” (fino a 0,4 mm/giorno, o circa 40 mm a stagione).

E gli effetti del cambiamento climatico si fanno sentire come altrove con un aumento della temperatura, qui  di 0,2 gradi centigradi per decennio. «La tendenza al riscaldamento», dettaglia lo studio regionale,  «può essere osservata in tutte le stagioni, con temperature medie invernali comprese tra 4 e 7 gradi, mentre le temperature medie estive sono comprese tra 18 e 20 gradi».

Ecco lo studio preliminare condotto dalla Regione

La presentazione del lavoro condotto è in inglese trattandosi di un progetto europeo che ha necessariamente coinvolto più stati.

E tra le ricchezze del Delta del Po,  in un mare interno, ecco la cozza dop di Scardovari.

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NUOVI SCENARI

La risalita dell’acqua salata: lenta e inesorabile?

Agricoltura e pesca a rischio, difficoltà per l’approvvigionamento idrico e fenomeni di desertificazione

Il Delta del Po (foto Agf)

 

Sempre lo studio regionale, ipotizza poi uno scenario futuro del Delta conseguente al cambiamento del clima, riservandosi in un secondo momento l’individuazione di azioni per far fronte alla nuova emergenza. 

«Il fenomeno dell'intrusione salina», si spiega, «consiste nel movimento di acqua salina nelle falde acquifere. Il cuneo salino si sviluppa spesso alla foce del fiume, propagandosi sul fondo dell'alveo, poiché ha una maggiore concentrazione salina ed è quindi più denso dell'acqua dolce fluviale. Nel caso del fiume Po, il cui alveo in prossimità della foce è al di sotto del livello del mare, questo processo è quasi sempre presente e si accentua durante tutto l'anno».

Quali gli effetti dell'intrusione salina?

  • La modifica delle caratteristiche biologiche con modificazioni della catena trofica e conseguenti effetti sulla popolazione ittica con impatti sulle attività di pesca;
  • l’interruzione dei prelievi per irrigazione, con gravi danni sulle attività agricole;
  • l’interruzione dell'approvvigionamento idrico nella parte più orientale del Polesine. Gli impianti di potabilizzazione, infatti, non sono in grado di desalinizzare l'acqua;
  • la salinizzazione degli acquiferi;
  • il prosciugamento delle aree costiere e processi di micro desertificazione.

Qualcuno trae pure vantaggio dalla risalita dell’acqua marina nel fiume: sono, ad esempio,  gli  avannotti di specie marine/salmastre, alcune delle quali che di notevole interesse per l'economia locale. Recentemente la parte finale del Po della Pila ha iniziato a ospitare ampi insediamenti di novellame di vongola Tapes philippinarum, divenendo area di interesse economico, in quanto rappresenta un'area naturale di pesca sfruttabile.

Ed ecco entrare in campo l’economia nella valutazione dell’impatto del cambiamento climatico. Un’economia messa in difficoltà dal mutare delle condizioni presenti  e un’altra economia che potrebbe svilupparsi proprio da questa evoluzioni.

Di seguito le “voci” del Delta del Po.

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IL PROF

«Un processo irreversibile a meno che non si intervenga subito: io sono ottimista»

Andrea D’Alpaos, docente di Geoscienze all’Università di Padova, interpreta i dati del report dell’Ipcc per il 2100

Andrea D'Alpaos, docente di Geoscienze all’Università di Padova

 

Siccità, subsidenza, cuneo salino, allagamenti: fenomeni all’ordine del giorno sul Delta del Po. Una normalità spinta sull’acceleratore dai cambiamento climatico in corso, che non risparmia certo quest’area cavallo tra Veneto ed Emilia Romagna. Dietro la mano dell’uomo. E non solo da oggi.

Andrea D’Alpaos, docente di Geoscienze all’Università di Padova, ben conosce la fragilità di queste terre.

«Il cambiamento climatico», inquadra il problema, «riguarda il Delta del Po come tutta la tratta costiera del Nord Adriatico». L’innalzamento del livello del mare, fenomeno di cui si parla relativamente da poco, è solo un aspetto dell’emergenza. L’attività umana incide anche a monte e non solo a valle. Nel passato a rafforzare la fascia costiera erano i sedimenti “prelevati” dal Po nel suo defluire dalla sorgente alla foce. Un arricchimento naturale che ha preservato nei millenni il delicato equilibrio di un ambiente affascinante quanto fragile.

Idrovora di Goro: solleva 21.000 litri al secondo di 6 metri per mantenere all asciutto parte dell’ Isola di Ariano completamente soggiacente il Livorno del mare con punte negative di 4,3 metri (foto Consorzio Delta del Po)

 

«La forza erosiva del mare», spiega D’Alpaos, «è stata contenuta grazie a questa discesa di materiale interrotta dalla costruzione di dighe lungo il corso del Po e dei suoi affluenti. Queste infrastrutture costituiscono barriere che trattengono i sedimenti».

A complicare l’emergenza la repentina evoluzione del clima, analizzata con le sue conseguenze dall’Ipcc (Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico) il principale organismo scientifico internazionale istituito nel 1988 dalla World Meteorological Organization (Wmo) e dall'United Nations Environment Program (Unep).

«Il rapporto 2021 dell’Ipcc», riferisce D’Alpaos, «prospetta due possibili scenari futuri per 2100: uno, per così dire, più pessimistico, e l’altro, per quanto possibile, più ottimistico. Il primo ipotizza un aumento del livello del mare di 55 centimetri, il secondo di 40. Con le relative conseguenze».

 Qui il rapporto.

Se il mare sale, la terra sprofonda anche per un’altra causa: la cosiddetta subsidenza, fenomeno legato al prelievo di gas metano avvenuto dagli anni Trenta agli anni Cinquanta del secolo scorso. L’estrazione ha provocato - e continua a farlo - il “cedimento” del suolo, dapprima nell’ordine di metri, ora di qualche millimetro l’anno (dai 5 ai 7). Numeri questi ultimi che all’apparenza potrebbero sembrare irrilevanti, ma, essendo il fenomeno continuo, incidono in maniera significativa e preoccupante nei tempi più lunghi.

Come salvaguardare il Delta del Po da questi fenomeni? «Nelle zone non difese da opportune arginature», risponde il prof D’Alpaos, «il primo effetto conseguente all’innalzamento delle acque è l’erosione, il mare si fa strada e ricopre aree costiere. Certo, le soluzioni ingegneristiche possono contrastare e diminuire il fenomeno, ma è evidente che non si possono alzare argini all’infinito. Si possono ritardare gli eventi, ma non eliminarli. Occorre intervenire in maniera decisa con un cambio di passo sulla produzione di Co2».

Mare che sale, ma anche allagamenti e siccità. Ci manca l’invasione delle locuste e lo scenario si fa biblico.

«Tutti fenomeni collegati», osserva D’Alpaos, «accelerati del cambiamento in corso». Tutti gli studi giungono alla stessa conclusione.

Ma si può invertire la rotta?

«Per natura sono ottimista», risponde D’Alpaos, «Sono anche convinto che occorra agire. E subito. Serve un impegno reale e immediato a ridurre la produzione di Co2. E’ stato perso del tempo. Ora bisogna davvero prendere coscienza della situazione attuale e non allarmarci quando assistiamo a fenomeni estremi quali allagamenti, alluvioni e siccità e poi, passato la fase acuta, disinteressarcene. Vanno programmati interventi. La Regione Veneto sta lavorando per la mitigazione delle piene. Bene, ma non basta».

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IL DIRETTORE

“Macché cambiamenti climatici: questa terra non sprofonderà nel mare”

Mantovani, direttore del Consorzio Delta del Po, secca la previsione degli accademici: “Frasi apocalittiche pronunciate da incompetenti”

Giancarlo Mantovani, direttore del Consorzio Delta del Po

 

La passione per la propria terra d’acqua è in ogni parola, anche nello snocciolare dei numeri. Se l’appartenenza è data dalla nascita, per Giancarlo Mantovani, direttore generale del Consorzio Delta Del Po, si rafforza poi nella scelta convinta di non lasciarla. E anzi nel difenderla metro su metro con il cuore e con la professione.

Laurea in Ingegneria, qualche anno di insegnamento di matematica e fisica – “il passaggio quasi obbligato per chi come me ha completato questa carriera universitaria” -, la libera professione, il lavoro in un’impresa e poi dal 1991 a oggi sempre e solo Consorzio del Delta del Po. Un cursus honorum completo partendo dalla scrivania di impiegato fino ad arrivare all’attuale ruolo di direttore. Dietro - e dentro - a tutto un unico grande amore per quella terra conquistata alle acque del fiume, che nasce a Pian del Re sul piemontese Monviso, attraversa tutte le nebbie della pianura padana fino a gettarsi nel mare Adriatico.

Impianto idrovoro Boscolo: solleva 9000 litri di acqua al secondo ad in altezza di 4 metri per mantenere all’ asciutto1800 ettari di territorio agricolo ed urbano che si trova 3 metri sotto il livello del mare (foto Consorzio Delta del Po)

 

Cos’è oggi il Delta del Po?

«Un’area di 43 mila ettari conquistata dall’uomo con un sistema di scolo impiantato dai primi del Novecento, rinsaldato con opere continue fino ad arrivare ai 42 impianti idrovori, alle 126 pompe che sollevano oggi 120 mila litri di acqua al secondo garantendo l’asciutto al sistema di isole perimetrate da fiume e mare. Quando piove e il Po s’ingrossa scatta l’allerta».

Quanto costa l’asciutto delle terre del Delta?

«Una bolletta pesante per quanto riguarda il consumo di energia elettrica: diciamo due milioni di euro l’anno, 50 euro ogni ettaro. E poi c’è la manutenzione del sistema. Questo è un territorio impegnativo che richiede un costante lavoro dell’uomo».

Vale la pena?

«Certo. Parliamo di una terra abitata da 50 mila residenti distribuiti in sette comuni. Il più grande è Porto Viro con 13.800 abitanti. C’è un’economia vivace fatta di agricoltura, pesca e un turismo sempre più in crescita. C’è una bellezza da preservare riconosciuta Sito di interesse comunitario (Sic). C’è un parco meraviglioso, con una preziosa biodiversità da tutelare. Insomma, un territorio vivo».

Ma la politica è interessata a mantenerlo?

«Sono programmati investimenti sulle aree umide, si lavora sulla slow mobility, si interviene sulla pesca, sull’acquacoltura, … A mio avviso, l’interesse c’è. Anche perché qui ci sono interessanti potenzialità che posso ancora essere sviluppate».

Tra trent’anni, nel 2050, esisteranno ancora queste terre strappate all’acqua? Come e quanto incide il cambiamento climatico e con esso l’innalzamento del livello del mare?

«Qui la mano dell’uomo ha dato e ha tolto. Con il sistema di canali e pompe ha difeso la terra, ma con la scelta di estrarre il metano, maturata e messa in atto tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, ha anche fatto sprofondare il suolo abitabile di 5-6 metri. Si sono dovuti rialzare gli argini, poi nel 1961 è stata finalmente sospesa l’attività metanifera, ma le conseguenze dell’estrazione non si sono cancellate subito. Lo sprofondamento delle terre è continuato per qualche anno fino a ridursi sempre di più. Dal 1983 al 2008, in 25 anni, si è sprofondati di 50 centimetri sul livello del mare. Quest’area è abituata a combattere con l’acqua e chi dice che nel 2050 sarà tutto sommerso dice una stupidaggine colossale».

Irrigazione di aree agricole del Delta del Po (foto Consorzio Delta del Po)

 

Il mare che sale non fa paura?

«Macché: occorre continuare a gestire una condizione con cui conviviamo da sempre. Siamo a meno 4,30 metri sul livello del mare e per fronteggiarlo abbiamo alzato argini alti 4 metri. Ci mettono alla prova di più le bombe d’acqua che scaricano la loro potenza sulle terre lambite dal Po. 100-140 millimetri in un’ora, precipitazioni battenti che sconvolgono le nostre abitudini meteo».

E allora?

«Continuiamo a fare quello che abbiamo sempre fatto e che sappiamo fare bene: potenziamo impianti e canali di scolo, costruiamo vasche di laminazione. E’ un lavoro continuo di rincorsa, ma deve cambiare l’approccio: non più resistente ma resiliente. Certo non potremo alzare gli argini all’infinito, dovremmo programmare alcune zone da sacrificare. E su queste dirottare gli allagamenti, considerando dove saranno minori i danni a persone e animali. Nel 2050 le terre del Delta del Po non saranno sommerse. A fine secolo il mare potrà alzarsi di 70, 80, 90 anche 100 centimetri ma i nostri argini sapranno ancora proteggersi. Sono stanco di vedere quelle stupide planimetrie realizzate da incompetenti che pronunciano assurde frasi apocalittiche».

Saranno gli argini di terra a far fronte all’annunciato cambiamento climatico?

«Hanno questa missione. Sa qual è il problema più urgente: l’invasione di nutrie, istrici, volpi e tassi che minano con gli scavi per le loro tane la stabilità degli argini stessi. Rischiano di farli collassare. Sono animali importati, liberati da allevamenti. Per contrastare la loro azione servono manutenzione e controlli continui. L’intelligenza dell’uomo troverà le risposte. Così come ha regimentato le acque riducendo drasticamente il fenomeno delle grandi alluvioni. L’ultima che ricordiamo per l’assoluta devastazione che ha portato con sé è quella del 1966. Allora avvenivano ciclicamente ogni due-tre anni. Adesso registriamo ogni anno piccole rotte».

Segno dei tempi o forse dell’uomo.

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L’ASSESSORE

Sandro Vidali: “Questo paradiso minacciato da siccità e mareggiate”

L’amore per il Delta è sbocciato quando garzone di bottega girava perle consegne dei gelati, oggi è uno dei promotori della sua terra

Sandro Vidali, assessore e guida turistica

 

Sandro Vidali è un assessore comunale di Ariano nel Polesine. In municipio, per la sua comunità, si occupa di beni paesaggistici, ambientali, archeologici; infrastrutture ciclopedonali; lavori pubblici, manutenzione: turismo e risorse comunitarie; urbanistica, edilizia privata e viabilità ordinaria. Ma prima che assessore è, da almeno trent’anni, guida turistica e naturalistica del Delta del Po. E prima ancora è un testimone e un appassionato difensore del patrimonio del Delta del Po. Se ne voleva andare finiti gli studi, sognava la metropoli: Milano, ma poi il fascino del Delta l’ha conquistato e legato alla sua terra. Un colpo di fulmine, scattato in quelle estati assolate in giro a fare le consegne come garzone di un gelataio.

Il clima che cambia la preoccupa?

«Crea - e soprattutto creerà - problemi al Delta del Po. E parecchi. Un innalzamento del livello del mare mette a rischio le barriere naturali. Gli esperti prevedono 40 centimetri nei prossimi trent’anni. Una situazione nuova che impatterà sulle aree di scambio, sulle lingue di sabbia che avranno grossi problemi a svolgere la loro funzione di frangionde».

Campi coltivati ed aree Biscaro sul Delta del Po (foto Consorzio Delta del Po)

 

Cosa succederà?

«I manufatti per quanto ben fatti faticheranno a contenere le mareggiate. Rischiamo di perdere spiagge e aree lagunari. La siccità “svuota” il Po, arretra l’acqua dolce e questa situazione consente al mare di risalire. Ciò comporta un aumento della salinità con ricadute anche sulla campagna coltivata. Il Delta è un insieme di lagune, valli da pesca protette, terre. La spiaggia, la costa, finora ha fatto da barriera fermando il mare e salvando l’acqua dolce, vitale per piante, animali e uomini. Serviranno nuovi e importanti investimenti per realizzare le infrastrutture necessarie a salvaguardare quest’area bellissima ma delicata e fragile. Le attività di erosione spinte dall’innalzamento del livello del mare si vedono da qualche anno. La spiaggia si ritira e s’inverte quella tendenza resistita per secoli che aveva dato origine al detto veneziano. Si diceva vendi la “terra e tre onde di mare”, consapevoli del fatto che la spiaggia si sarebbe presto allungata sul mare e di conseguenza la tua proprietà si sarebbe estesa. Da una decina di anni avviene l’esatto contrario. La costa arretra».

Colpa della cosiddetta tropicalizzazione?

«Sì, siccità e piogge torrenziali mettono sottopressione le idrovore. Con il fiume in magra (ovvero quando la portata si abbassa per la siccità) risale il cuneo salino che minaccia le prese per l’acqua potabile. Per renderla tale bisogna quindi desalinizzarla».

Si può invertire la tendenza?

«Bisogna investire risorse per rafforzare gli argini e salvaguardare attività produttive e presenza umana. L’arginatura è la prima difesa dal mare, ma se non viene sostenuta, alla luce delle nuove previsioni, rischia di non poter adempiere alla sua funzione. C’è un al di là e un al di qua: di là il mare: di qua il Delta, in mezzo le arginature. Bisogna progettare, lavorare oggi per garantire il domani. Ho l’impressione che i governi locali non avvertano il pericolo. Ma c’è e va affrontato. Ora».

Politica sorda?

«Diciamo per ora poco previdente. C’è il Consorzio del Delta del Po che fa la sua parte, ma rischia di non bastare. Garantisce e garantirà la manutenzione delle arginature. Ma è ora di pensare alle conseguenze del cambiamento climatico in atto e intervenire di conseguenza. E lo devono fare anche le amministrazioni locali. Il Pnrr è un’occasione mancata. In esso non c’è alcun accenno alla tutela del paesaggio. Mi sento di lanciare un appello affinché si inizi a programmare per il futuro, non ci resta molto tempo».

Cos’è oggi il Delta del Po?

«Un magnifico esempio di grande biodiversità. L’uomo nei secoli ha saputo “domare” quest’area senza sconvolgerla. Oggi è un territorio molto naturale costruito con uno splendido equilibrio tra terra e fiume. La mano dell’uomo, in questo caso, ha saputo mantenere ed esaltare una bellezza insieme dolce e fragile».

Meta turistica?

«Ci lavoro da trent’anni. E’ un paesaggio che rilassa. Che regala tranquillità. Qui si va in barca, a piedi, in bicicletta. Si può girare senza incontrare masse, non si ha certo la percezione della folla. E se la pandemia ha tolto molto alla nostra vita, ha anche dato nuove opportunità a questa terra. Abbiamo visto crescere il turismo. Si può fare di meglio, si può ancora crescere. Noi ci crediamo».

Qui sotto il video con cui Vidali racconta il “suo” Delta del Po

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LA TESI

Rischio siccità in una terra che galleggia sull’acqua

Luigi Mancin nel suo studio traccia gli effetti del fenomeno del cuneo salino in prospettiva 

Il Delta del Po (foto Agf)

 

Tanti i giovani geologi o aspiranti tali che si sono cimentati in tesi sul Delta del Po, innamorati di quest’area. Tra di loro anche Luigi Mancin, residente a Cavarzere nel Padovano e attualmente in forza nel corpo della polizia locale di Chioggia. La sua tesi di laurea all’Università di Padova con il professor Paolo Tarolli è stata dedicata proprio al fenomeno del cuneo salino. Uno studio sperimentale che ha formulato una serie di previsioni partendo dalle condizioni attuali e future. Il mare che risale rischia di lasciare a secco di acqua potabile gli abitanti del Delta. E’ già successo. L’acqua di falda mescolata con quella del mare non è bevibile. Sembra un paradosso, ma anche qui una terra conquistata all’acqua si vive il rischio della desertificazione.

Qui un estratto della tesi usato per un incontro pubblico.

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IL CINEMA

E il Delta del Po ha sempre esercitato un’attrazione fatale per il mondo del cinema.

Tanti i film girati in quest’angolo tra Veneto ed Emilia Romagna. 

Il mitico "Paisà” diretto nel 1946 da Roberto Rossellini o “Gente del Po”,  breve documentario di Michelangelo Antonioni, primo lavoro del regista ferrarese, girato nel 1943 e uscito nel 1947. In tanti si sono lasciati condurre e stregare dalle atmosfere del fiume che si prepara a sfociare nell’Adriatico.

Senza alcuna pretesa di essere esaustivi ecco alcuni film a cui il Delta fa da sfondo o da indiscusso protagonista.

  • GENTE DEL PO

  • PAISA’

L’incipit del sesto episodio girato a Porto Tolle

  • OSSESSIONE di Luchino Visconti

  • LA DONNA DEL FIUME di  di Mario Soldati

  • IL GRIDO di Michelangelo Antonioni

  • SCANO BOA - VIOLENZA SUL FIUME  di Renato Dall'Ara

  • NOTTE ITALIANA di Carlo Mazzacurati

  • LA GIUSTA DISTANZA  di Carlo Mazzacurati

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LA NOSTRA INCHIESTA

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