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Per una volta senza uomini
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Per una volta senza uomini

“Sapresti nominare venti artiste donne? Dieci precedenti al 1950? Qualcuna precedente al 1850?”. Io non riuscivo a rispondere.

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La prendo larga. Finirò a parlare di donne che hanno fatto la Storia ma devo prendere uno slancio, prima, non richiesto e autobiografico: semmai passate al secondo capoverso. Si può essere radicali senza essere estremisti. Io, per esempio, se guardo alla mia esistenza da quando ne ho memoria, lo sono stata e ancora lo sono. Radicale, incapace di compromessi diplomazie e altre arti manipolatorie del consenso. Impopolare, spesso: divisiva come si dice adesso, testarda, come dicevano i miei. Una rompipalle, effettivamente. Gli estremismi sono un’altra storia: hanno qualcosa di violento e una pretesa rivendicativa e risarcitoria che mi pare speculare e simmetrica rispetto al torto, vero o presunto, che si propongono di rimarginare. Un assetto militare, una divisione in squadre che non mi trova comoda. La cancel culture, le ridefinizioni della Storia secondo canoni oggi considerati corretti mi sembra stupidissima, dispotica sordocieca e altrettanto nociva del danno che altri, in passato, hanno di certo subito. Non è questo il modo, mi dico. Bisognerebbe cambiare lo schema di gioco, non replicarlo a parti invertite.

Quindi, secondo capoverso, quando ho iniziato a leggere La storia dell’arte senza gli uomini di Katy Hessel (storica dell’arte, appunto, assai autorevole), un tomo di 500 pagine pubblicato da Einaudi ho pensato mmh. Come senza, facciamo con. Ci saranno stati pure artisti maschi interessanti, vogliamo scartarli tutti? Michelangelo, Giotto, Van Gogh, Freud, tutti? Poi ho cominciato a leggere e mi sono dapprincipio un poco avvilita: alle domande iniziali – “Sapresti nominare venti artiste donne? Dieci precedenti al 1950? Qualcuna precedente al 1850?”  – non riuscivo a rispondere. Ho visto i dati, i numeri non accendono passioni ma sono indicatori importanti: alla National Gallery di Londra le artiste sono l’uno per cento della collezione. Uno è veramente poco. Nella Storia dell’arte raccontata da E. H. Gombrich, testo-bibbia, le artiste sono zero nella prima edizione, nessuna, solo una nella sedicesima. Così mi sono disposta con zelo e senso di colpa a studiare l’opera di Properzia de’ Rossi (1490) e le nature morte di Clara Peeters (1594), davvero belle. Sono arrivata con facilità ad Hannah Höch (1889) e alle sue bambole Dada. Sono stata felice di trovare Aloïse Corbaz (1886), chiusa tutta la vita in manicomio, mia personale eroina da decenni e ignota ai più. Le adorate fotografe, Claude Cahun, Margaret Bourke-White e Vivian Maier, manca Lisetta Carmi, ho protestato. Manca Carol Rama, tra le artiste figurative, la nostra Louise Bourgeois.

Sempre qualcuno manca, e sempre qualcuno che non sapevi c’è. Come mai non mi sono mai imbattuta nei folgoranti ritratti di Alice Neel (1900)? Anche lei chiusa in manicomio, come tante. E di Doris Salcedo (1958) conoscete forse la crepa che segna “pericolo e confine”? È anche molto divertente, questo manuale, per come è scritto. Nel suo estremismo risarcitorio colma in effetti una lacuna grande. Va bene, ho pensato, è giusto: per una volta va bene così, senza uomini.