L’iconografia classica ci restituisce l’immagine di un uomo buono e sorridente, vestito di rosso e sempre accompagnato dalla sua fedele slitta, il mezzo di trasporto con cui gira il mondo nella notte della Vigilia per lasciare i doni ai bimbi buoni. In anni recenti, alla favola di Babbo Natale, è stato poi aggiunto il contorno di elfi laboriosi, renne instancabili e villaggi da sogno immersi nella natura ghiacciata del Polo Nord. Mutuata dalla leggenda di San Nicola, vescovo di Myra (Bari) vissuto nel IV secolo cui gran parte dell’Europa del Nord è ancora devota, la figura di Babbo Natale è uno dei cardini della prima infanzia, una credenza magica che i bambini assimilano già prima dei due anni di vita e danno per scontata per buona parte della scuola elementare. Sebbene sia stato Thomas Nest, disegnatore tedesco espatriato in America all’inizio del 1800, a trasformare l’immagine sacra del vescovo Nicola in un personaggio più moderno, è stata poi l’azione di marketing della Coca-Cola negli anni Cinquanta del secolo scorso a configurare l’icona di Babbo Natale per come oggi la conosciamo. Il resto, almeno per quanto riguarda il suo potere commerciale, è storia.

Da un punto di vista psicologico, però, credere a Babbo Natale non è soltanto la conseguenza di una buona campagna pubblicitaria. La letteratura scientifica conferma che, attorno al pensiero magico, ovvero alla capacità del bambino di immaginare mondi altri per dare un significato a una realtà ancora troppo complicata per lui, si impernia gran parte dell’attività cognitiva ed evolutiva dei primi anni di vita, dai due ai 7-8 anni. Oltre alle credenze magiche, rientra in questo bagaglio di competenze importantissime per la crescita anche il gioco simbolico, in cui il bambino manipola oggetti e simboli simulando azioni per costruire mondi di finzione diversi da quello reale. Va da sé che, rispetto al mito di Babbo Natale, quando il bambino scopre che in effetti non esiste e sono mamma e papà a elaborare la letterina con la richiesta dei regali per realizzare i suoi desideri, uno dei sentimenti più difficili da gestire sia la delusione. Abbiamo discusso di pensiero magico ed evoluzione infantile con la neuropedagogista - RBT® Beatrice Bianchin (@pedagogia_in_valigia su Instagram), per capire come accompagnare i più piccoli nella delicata fase passaggio che devono affrontare quando scoprono che Babbo Natale è frutto della fantasia.

Potere all’immaginazione e alla magia
Dottoressa Bianchin, perché per i bambini piccoli è così importante, da un punto di vista pedagogico, ancorarsi a credenze magiche come quella di Babbo Natale?
«Babbo Natale e’ una favola educativa. Credere ad una storia così affascinante alimenta valori di empatia, di bontà universale, di gioia nel dare e ricevere, di speranza. E aiuta a sviluppare la creatività e la fantasia: credere con tutte le proprie forze a qualcosa che non si vede, infatti, significa viaggiare con l’immaginazione. Senza contare che la magia del Natale insegna anche il valore dell’attesa e della pazienza».
A che età solitamente si comincia a credere a Babbo Natale?
«La magia e lo stupore che il periodo natalizio regala comincia abbastanza precocemente. Già sotto l’anno di età i piccoli restano incantati ad osservare i giochi luminosi che creano le luminarie, sono ammaliati dai colori delle carte regalo e affascinati dall’albero di Natale. In un momento successivo, a partire dai 15-18 mesi, si fa gradualmente strada una credenza più consapevole, che diventerà ancora più forte con lo sviluppo del gioco simbolico, intorno ai 2 anni. A partire da questa fase l’idea di Babbo Natale e di altre icone magiche come Santa Lucia o la Befana si fa più concreta».
Quando la magia comincia a sfumare
A che età si tende a perdere contatto con l’apparato magico del Natale?
«In generale possiamo dire che, dalla scuola primaria, cominciano a farsi strada, seppur in modo graduale, un po’ di dubbi circa l’esistenza di Babbo Natale. Ciò avviene perché lo sviluppo cognitivo dei bambini, in questa fase evolutiva, fa grandi balzi in avanti. E, proprio in virtù di questo sviluppo, sopraggiungono le loro prime perplessità. Frequentare amici più grandi, che hanno già superato questa fase, può essere un'altra ragione alla base di questi dubbi».
E se i bambini pongono una domanda diretta sull’esistenza di Babbo Natale, qual è il modo migliore per rispondere?
«Quando un bambino pone domande, anche scomode e difficili per noi adulti, significa che è pronto a sentirne le risposte. Quindi è fondamentale garantirgli il diritto alla verità, dando una cornice a queste domande. Di fronte alle perplessità dei piccoli alla scoperta della non esistenza di Babbo Natale è necessario rispondere con sincerità, soppesando però toni e modi. Starà al genitore, che conosce bene i propri figli, capire se le domande che vengono poste richiedono feedback rapidi oppure se la natura della questione ha radici più profonde. In questo caso è necessario fornire una risposta emotiva più articolata».

Qual è l’approccio migliore, per non sminuire o accentuare la loro delusione?
«Potrebbe essere utile chiedere al bambino quale pensa che sia la risposta alla domanda che ha posto, per comprendere il suo stato emotivo e, da lì, capire come procedere. Si potrebbe raccontare, in prima battuta, che Babbo Natale esiste ma ha bisogno dell’aiuto delle mamme e dei papà per portare i doni in tutto il mondo. In questo modo il bambino può prepararsi gradualmente alla fase successiva, che coincide con la consapevolezza piena della non esistenza di Babbo Natale. Anche in questo caso sarebbe meglio procedere con un approccio soft: si possono spiegare storia e valori alla base della leggenda così da non invalidare interamente la portata della favola educativa. Un’altra cosa importante è spiegare quanto sia importante mantenere il segreto di questa magia per rispettare gli amici e le amiche che ancora ci credono».
E come comportarsi quando un bambino che ha superato l’età evolutiva in cui solitamente la magia del Natale sfuma continua ad ancorarsi a questa credenza?
«Non esiste una risposta univoca. In linea generale, evolutivamente parlando, possiamo immaginare che alcuni bambini continuino a credere a Babbo Natale fino alla quarta o quinta elementare, dunque entro l’ultimo biennio della scuola primaria. In questo caso, è bene cercare di comprendere la loro necessità di rimanere in questa dinamica e accogliere i loro sentimenti, confortandoli e cercando di rispondere in modo calibrato ai loro quesiti. Tuttavia, oltre gli 11 anni, sarebbe bene porsi domande più ad ampio raggio relativamente alla maturità e alla condizione di sviluppo del ragazzino. Senza considerare che, in questo caso, il gap creatosi con i coetanei può diventare fonte di scherno, generando altre conseguenze sul piano psicologico. Un modo indolore per aiutarlo ad allontanarsi naturalmente dalla credenza potrebbe essere lasciare degli indizi affinché il bambino arrivi da solo alla verità, che poi potrà essere convalidata dagli adulti. i quali dovranno essere poi pronti a confortarlo e ad accogliere la sua eventuale delusione».