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Biennale d'arte di Venezia
L'ad di Dior Pietro Beccari al 30 Montaigne di Parigi con l'opera l’opera Rose II di Isa Genzken (foto Brigitte Lacombe, courtesy Dior)
L'ad di Dior Pietro Beccari al 30 Montaigne di Parigi con l'opera l’opera Rose II di Isa Genzken (foto Brigitte Lacombe, courtesy Dior)  
Biennale d'arte di Venezia

Pietro Beccari, ad di Dior, "Il lusso ha il dovere di fare cultura"

Il binomio arte-moda negli ultimi anni è sempre più popolare. La nuova boutique del marchio, 30 Montaigne a Parigi, ospita un museo sulla storia della maison e una selezione di opere di arte contemporanea. Senza contare le iniziative del brand alla Biennale di Venezia e le collaborazioni artistiche per la borsa Lady Dior

3 minuti di lettura

Pietro Beccari scherza, ma non troppo, quando dice di sentirsi più un gallerista che l'amministratore delegato di Dior. Vero è che il binomio arte-moda negli ultimi anni è sempre più popolare e, sotto la sua guida, la maison francese sta facendo tanto. Per iniziare: la boutique parigina al 30 di Avenue Montaigne - appena riaperta dopo due anni di ristrutturazione - nei suoi 13mila metri quadri, ospita non solo un museo sulla storia della maison, ma offre anche una notevolissima selezione d'arte contemporanea.

A tutto questo si aggiungono le iniziative del brand per la Biennale d'Arte di Venezia, dove Dior è presente sia come donor che come sostenitore dell'associazione Venetian Heritage, attraverso la quale restaurerà la Galleria Giorgio Franchetti alla Ca' d'Oro. Infine, sempre a Venezia, è in programma la presentazione della borsa Lady Dior decorata da Fabrizio Plessi, altro artista assai caro alla maison. Insomma, periodo pieno.

Sketch della Lady Dior vista da Fabrizio Plessi
Sketch della Lady Dior vista da Fabrizio Plessi 

Moda e arte sono davvero così legate?
"Sono due facce della stessa medaglia, due interpretazionidella realtà, diverse ma simili, che nascono dal gesto creativo e dall'emozione che questo genera. Non dimentichiamo che Christian Dior ha iniziato come gallerista: noi lo abbiamo "in casa" l'esempio di quanto siano connesse".

Sculture di Alberto Giacometti e abiti d’archivio al 30 Montaigne, nuova boutique di Dior a Parigi
Sculture di Alberto Giacometti e abiti d’archivio al 30 Montaigne, nuova boutique di Dior a Parigi 

Quando ha deciso che 30 Montaigne sarebbe stato in tutto e per tutto anche un museo?
"Appena arrivato da Dior, nel febbraio 2018, mi hanno portato a visitare gli atelier in Avenue Montaigne: lì ho scoperto che la leggendaria cabina di prova di Christian Dior, dove le modelle si cambiavano, era stata trasformata in un ripostiglio pieno di scatoloni. Mi è venuto naturale voler ridare a quello spazio il valore che meritava, innestandolo in un contesto adeguato. Tre mesi dopo, ero da Bernard Arnault a spiegargli che avremmo dovuto chiudere il nostro store più importante per due anni, traslocando gli atelier - cosa mai successa in 75 anni di storia - e 450 impiegati. E lui ha accettato".

La prima opera inserita?
"Ho sempre amato Isa Genzken e i suoi fiori altissimi: mi parevano giusti per il luogo, visto l'amore per i giardini di monsieur Dior. Sapevo che Bernard Arnault aveva una rosa dell'artista esposta in un angolo dell'atrio della Fondation Louis Vuitton, un po' in disparte. Gliene ho parlato, ma visto che lui era dubbioso sul cedermela, ho deciso di rischiare: ho prelevato l'opera, l'ho installata e gliel'ho fatta trovare durante un sopralluogo. Lui è entrato, l'ha fissata e mi ha detto di lasciarla lì, perché era perfetta".

Certo che sa essere convincente.
"La verità? Il brand va benissimo, ha avuto una crescita a doppia cifra anche nel 2020. Ecco perché ci riesco (ride, ndr)".

Sente la responsabilità di "educare" il pubblico, anche attraverso uno spazio di vendita?
"Chiunque oggi si avvicini al marchio lo fa anche perché condivide i suoi valori: penso a Maria Grazia (Chiuri, direttrice creativo womenswear, ndr) e alle sue costanti battaglie per il femminismo. I nostri account social contano decine di milioni di follower, ogni sfilata è vista da oltre cento milioni di persone: con un megafono così, abbiamo il dovere di parlare di certi temi. Ogni volta che vedo  una scolaresca in visita al museodi 30 Montaigne, me ne convinco ancora di più".

In Francia però la moda è sempre stata vista come un'istituzione, no?
"Non per essere partigiani, ma anche in Italia sono state fatte cose bellissime, penso alla Fondazione Prada e al Gucci Garden, giusto per fare due esempi. Credo che questo modo di ragionare oggi sia partedella filosofia di un brand di lusso".

Nel suo lavoro ha sempre dimostrato una passione per l'arte.
"Sì. Mi ricordo di quando, nel 2012, sono partito per il Giappone per convincere Yayoi Kusama a collaborare con Vuitton, dove lavoravo all'epoca: per parlarle ero andato nella casa di cura dove vive dal 1977. E quando ero l'ad di Fendi sono riuscito a far porre un'opera di Giuseppe Penone davanti a Palazzo Fendi, in Largo Goldoni. Sa di chi era l'ultima opera che la città aveva installato? Di Bernini".

E lei, che arte preferisce?
"Con mia moglie Elisabetta abbiamo una piccola collezione di artisti italiani degli anni 40 e 60. Takashi Murakami, con cui sono amico
dai tempi di Vuitton, mi ha appena regalato un suo Nft (opera d'arte digitale ndr). Sapessi come aprirlo...".

Come sono arrivati i progetti su Venezia, invece?
"Da amicizie di lunga data: quella con il curatore della Biennale, Cecilia Alemani, per esempio. In più questa è l'edizione con più artiste donne che, come Tomaso Binga (nome d'arte di Bianca Pucciarelli Menna ndr), hanno collaborato con Maria Grazia. Anche Fabrizio Plessi è un amico: lo avevamo già supportato per L'età dell'oro, l'installazione luminosa in piazza San Marco del 2020. Avevamo in programma un ballo alla Ca' d'Oro, ma questo non è il momento giusto per festeggiare".

La situazione in Ucraina vi sta colpendo?
"Abbiamo un negozio a Kiev con 12 dipendenti: due ci hanno chiesto di aiutarle a lasciare il Paese, cosa che abbiamo fatto; le altre sono rimaste in città, per ora sane e salve, perché hanno mariti e compagni che si sono arruolati. È dura parlare di bellezza e cultura quando a due passi da noi sta succedendo tutto questo.E nemmeno in Russia la situazione è semplice".

Cosa sta succedendo?
"Abbiamo chiuso i sei store locali, ma stiamo subendo molte pressioni da parte delle autorità per riaprire. Ma se anche lo facessimo, non avremmo la merce, perché è tutto bloccato: non sappiamo nemmeno se riapriremo, figurarsi quando".