Ricevo una lettera di un uomo.
Si chiama Roberto, ha 42 anni e mi racconta di sentirsi improvvisamente in ritardo con la vita, con gli appuntamenti dell’esistenza che gli presentano il conto. Di dover compiere una scelta che gli cambierà la vita e da cui dipende il suo futuro e quello di un figlio che ancora non c’è ma per il quale già si preoccupa. Mi racconta di venire da un paese dell’Umbria, di aver fatto l’università a Roma, anni belli in cui ha vissuto una storia di amore con una ragazza, anche lei studentessa fuori sede, un amore bellissimo e totalizzante. Dopo l’università una borsa di studio l’ha portato all’estero per un master e il loro amore non ha retto alla distanza.
Gli anni successivi sono volati: il lavoro, la carriera e una vita che in fondo gli piaceva, senza incontrare una donna con la quale impegnarsi davvero.
“Avvocato”, mi scrive, “da poco più di un anno, finalmente, sono molto felice accanto a una coetanea, con la quale ho un’intesa adulta e soddisfacente e per la prima volta quando la guardo credo di avere davanti la madre dei mie figli. Stiamo cercando un figlio, sappiamo che il tempo non è dalla nostra, ma i mesi passano e il bambino non arriva. Lei ritiene che possa essere a causa dell’età, non siamo più dei ragazzini. Sentiamo forte il desiderio di coronare con un figlio il nostro amore e l’occasione che la vita ci ha dato, ora. La mia compagna è una donna molto decisa e si sta già informando per un percorso di fecondazione assistita.
Sono confuso, forse ha ragione lei, dobbiamo prendere una decisione, ma ho molti dubbi e mi chiedo cosa accadrebbe se a un certo punto del percorso, che ho capito essere lungo, lei ed io ci trovassimo in disaccordo su come e se proseguire. Vorrei saperne di più sui miei obblighi e sui miei diritti”.
Caro Roberto,
la sua lettera mi ha colpito per l’attualità dei temi toccati, dato che una recente sentenza di Tribunale, destinata a far discutere, ha cambiato, e di molto, l’approccio dei giudici in caso i futuri genitori si trovino in disaccordo durante il percorso che può portare alla gioia più grande.
Cercherò di far luce sui suoi dubbi: la sua storia ha molti risvolti, umani, emotivi, giuridici e la legge a volte non tiene il passo con i tempi e le esigenze che cambiano, con la vita che impone percorsi più tortuosi che possono togliere tempo alle tappe biologiche del diventare genitori.
La sentenza è del 27 gennaio di quest’anno ed è una rivoluzione rispetto a quanto deciso dai giudici in precedenza.
Nel caso di specie una donna nel 2018 si era sottoposta insieme al marito ad un ciclo di PMA (procreazione medicalmente assistita).
Dopo la fecondazione dell’ovocita, e prima dell’impianto in utero, la procedura era stata interrotta per motivi di salute della donna e gli embrioni erano stati sottoposti a crioconservazione e cioè congelati a 200 gradi sotto zero e conservati in un centro.
Nel frattempo, la coppia, già in una tormentata relazione – sfociata nel 2017 con una richiesta di separazione da parte del marito alla quale era seguita una riconciliazione che li aveva portati poi ad accedere alla PMA - si è separata definitivamente, mentre gli embrioni congelati sono rimasti nel centro medico.
Le ragioni della moglie
La donna, che aveva subito la separazione, si era rivolta ai giudici affinché ordinassero al centro di fecondazione assistita di portare a termine la prestazione affidatagli procedendo all’impianto degli embrioni in utero anche in assenza del marito.
Le ragioni del marito
Il marito si è opposto alla richiesta della donna sostenendo che la loro relazione fosse già instabile, che la coppia avesse già vissuto crisi profonde sia prima che dopo il matrimonio, che egli avesse quindi intrapreso una nuova vita di coppia con un’altra donna (possiamo ben immaginare l’impatto emotivo su una nuova relazione circa la possibilità di avere un figlio, ormai non voluto, dalla ex moglie).
Egli ha invocato, inoltre, la sopravvenuta mancanza dei requisiti di accesso alla tecnica di fecondazione assistita a causa della loro separazione; la Legge 40 del 2004 sulla PMA, infatti, chiarisce che i requisiti di accesso a tali tecniche sono:
essere una coppia maggiorenne
di sesso diverso,
coniugata o convivente,
in età potenzialmente fertile,
entrambi viventi
L’uomo ha infine sostenuto che fosse venuto a mancare il suo consenso al proseguimento del percorso di fecondazione.
Le ragioni accolte dai giudici
Seppure in casi simili i Tribunali avessero in precedenza deciso in maniera completamente diversa, la sentenza del gennaio 2021, per la prima volta, ha accolto le ragioni della donna, ordinando al Centro di procedere con l’impianto in utero anche senza il consenso del marito, e anzi, direi, anche contro la sua contraria volontà, espressamente manifestata.
La donna, in pratica, potrà diventare madre anche contro il volere del padre di suo figlio.
Quali sono i diritti rivendicati dal marito che non hanno trovato accoglimento?
I giudici hanno ritenuto che i requisiti di accesso alla PMA fossero soddisfatti al momento in cui è stato prestato il comune consenso alla procedura e a nulla rileva che si siano perduti in un momento successivo con la separazione.
Poco importa dunque che il consenso del marito sia venuto meno in un momento successivo.
Infatti è risultato determinante che la Legge 40 del 2004 preveda esplicitamente che il consenso alla procedura possa essere revocato dai futuri genitori sino al momento della fecondazione dell’ovulo e non oltre.
Pertanto, nel caso concreto, essendo già avvenuta la fecondazione in vitro, i giudici hanno ritenuto prevalente il diritto alla vita dell’embrione (che può essere sacrificato solo a fronte di interessi prevalenti quali ad esempio la salute della donna).
Certamente non è stato ritenuto degno di tutela il diritto del padre a una paternità non imposta, se comparato al diritto dell’embrione alla vita.
Pertanto caro Roberto, alla luce di questa nuova interpretazione della legge, lei deve tenere conto che il momento ultimo in cui le sarà concesso di revocare il consenso alla procedura di PMA è quello della fecondazione in vitro.
Qualora ci fossero dei ripensamenti da parte sua, anche relativi alla vita di una coppia in fin dei conti recente, sappia che la sua attuale compagna potrebbe decidere da sola di richiedere l’impianto degli embrioni nell’utero anche contro il suo volere.
Tale situazione potrebbe rivelarsi temporanea perché dovuta a un vuoto legislativo: infatti, inizialmente, la Legge 40 limitava la formazione degli embrioni al numero massimo di tre (numero che consentiva un potenziale unico impianto in utero) e ne vietava la crioconservazione. Erano gli anni in cui, lo ricorderemo, molte le coppie si rivolgevano a centri esteri dove era già legale la crioconservazione.
Ecco che in una situazione di divieto di conservare gli embrioni aveva senso stabilire il termine ultimo del consenso con la fecondazione non essendo previsto un momento successivo di impianto in utero.
Solo nel 2010 la Corte Costituzionale dichiarava l’illegittimità di questo divieto e anche in Italia diventava legale la crioconservazione.
Oggi, quindi, una madre che intenda dare seguito al suo desiderio di maternità anche dopo il fallimento di un progetto di coppia può farlo anche con l’opposizione del futuro padre.
Il concetto del diritto alla bigenitorialità del figlio viene slegato completamente da quello di coppia dei genitori: anche un bambino che nasce da genitori separati ha l’opportunità di godere di entrambi.
Da qui importanti conseguenze per il padre che diventerebbe tale anche contro il suo volere e che vedrebbe sorgere in capo a sé tutti gli obblighi che il nostro ordinamento impone ai genitori quali quelli di mantenere, istruire, educare ed assistere moralmente i figli.