«I servizi sanitari informatizzati sono in grado di rispondere alle domande battendo un clic ma in questo il nostro Ssn è ancora in ritardo». Così «ogni medico fa la sua prescrizione, ma poi si scopre che non tutte le terapie sono compatibili tra loro e in tal modo aumentano i pazienti che finiscono in ospedale per gli effetti delle cure mal combinate. Gli specialisti devono parlarsi tra di loro, confrontandosi con i medici di medicina interna che hanno una visione d’insieme del paziente».
A bacchettare il nostro Ssn per essere un po’ jurassico in fatto di digitalizzazione non è uno qualunque ma il Nobel per la fisica, Giorgio Parisi, insignito del premio per la ricerca di Fadoi, la federazione degli internisti ospedalieri a congresso a Roma.
E chissà che la tirata d’orecchie non spinga ad utilizzare al meglio le ingenti risorse, un paio di miliardi, che il Pnrr mette in campo per informatizzare la nostra sanità. I numeri di oggi però gli danno ragione. In primis quelli sulla grande incompiuta, il fascicolo sanitario elettronico (Fse), il passaporto sanitario che dovrebbe contenere referti, diagnosi, terapie in corso e molto altro ancora, per far si che da Cantù a Canicattì si possa avere a portata di mouse la condizione clinica di un assistito e decidere quel che è meglio per lui. Magari evitando di prescrivere una terapia che cozza con altra. O di evitare accertamenti eseguiti da poco. Ma anche per poter prenotare visite e analisi, pagare i ticket o ottenere l’esenzione dagli stessi. Tutte cose che dovrebbero essere contenute nell’Fse secondo le nuove linee guida dei ministeri di Salute e Innovazione tecnologica, che sono parte integrante del Pnrr. Ma a dieci anni dalla sua istituzione il fascicolo resta quasi ovunque una scatola vuota. Tanto da non consentire di aprire un file e mettere in moto quella “chiamata attiva”, da parte di Asl e medici di famiglia, che avrebbe dovuto ricordare a over 80 e fragili ultrasessantenni che era già ora di proteggersi dal Covid con la quarta dose, somministrata fino a ora appena all’11% della platea di chi con il virus rischia di più.
Ora il Pnrr si pone l’obiettivo ambizioso di realizzare in un anno quello che non si è fatto in dieci. I soldi ci sono, 1,38 miliardi solo per l’Fse. Si tratta di vedere però se funzionerà il metodo del bastone e la carota previsto dallo stesso meccanismo di distribuzione dei fondi, che arriveranno solo nelle casse delle regioni che raggiungeranno determinati obiettivi riguardo il numero di referti e dati sanitari caricati da almeno l’85% dei medici di famiglia. Che insieme ai loro colleghi ospedalieri potranno utilizzare le informazioni del passaporto sanitario anche per attivare al meglio i servizi di telemedicina. Tanto più essenziali, quanto più invecchia la nostra popolazione ampliando le fila dei malati cronici che l’assistenza la richiedono più a bordo letto.
Anche se, ha ricordato sempre Parisi, oltre la tecnologia «c’è l’intuito del medico che è in grado di fare un’anamnesi accurata sul paziente, su quale terapia somministrare, aspetti, questi, insostituibili. Ma ho l’impressione-ha concluso- stiano diminuendo i medici che ascoltano i polmoni e tastano l’addome». «Noi vogliamo mettere insieme l’empatia, l’approccio umano e la tecnologia», ha assicurato dal canto suo il Presidente Fadoi, Dario Manfellotto. Che è poi quello che gli internisti hanno fatto in due anni e mazzo di pandemia prendendosi in carico il 70% dei pazienti Covid.
Articoli rimanenti
Accesso illimitato a tutti i contenuti del sito
3 mesi a 1€, poi 2.99€ al mese per 3 mesi
Sei già abbonato? Accedi
Sblocca l’accesso illimitato a tutti i contenuti del sito